“La computerizzazione sta privando gli individui della capacità di monitorare e controllare i modi in cui le informazioni su di essi vengono utilizzate. Sono state poste le basi per una società dei dossier, in cui i computer possono essere utilizzati per dedurre lo stile di vita degli individui, le loro abitudini, i luoghi che bazzicano e le frequentazioni attraverso i dati raccolti nel corso di banali transazioni tra individui”.
Immersi come siamo nel concetto, tutto sommato nuovo, di “capitalismo della sorveglianza”, potrebbe sorprendere scoprire che le righe che avete appena letto risalgono a quasi 40 anni fa. Per la precisione, sono tratte da un articolo – intitolato Sicurezza senza identificazione: sistemi di transazione per rendere il Grande Fratello obsoleto – scritto dallo scienziato informatico David Chaum nel 1985.
Gli esordi
Già negli anni Ottanta, infatti, con la diffusione dell’industria dei computer, iniziarono a diffondersi anche i timori relativi alla privacy e alla protezione dei dati, criticando la possibilità di raccogliere pervasivamente i dati dei cittadini e di creare archivi e data center che li contenessero. Oltre ai rischi di abusi, il timore, espresso già all’epoca da pensatori ancora oggi molto attivi (come David Lyon o Shoshana Zuboff), era che la gente subisse il cosiddetto chilling effect: la riduzione della libertà d’espressione degli individui in una società sottoposta a sorveglianza.
Vista oggi, la capacità premonitrice di questi esperti è impressionante: quasi un decennio prima che, tramite il world wide web, internet iniziasse a diffondersi tra la gente, quali fossero i pericoli insiti in questa nuova e rivoluzionaria tecnologia era per alcuni già ben chiaro. Sempre in quella fase, nonostante l’industria informatica necessitasse di hardware e software sempre più evoluti e sicuri, governi come quello degli Stati Uniti iniziavano la loro lunga e tuttora attiva battaglia per contrastare i sistemi che difendono la riservatezza delle comunicazioni.
E così, influenzato dalle idee di David Chaum, nel 1988 l’ingegnere informatico Timothy May (all’epoca impiegato presso la Intel) inizia a distribuire i volantini di quello che diventerà il suo celebre Cripto Anarchist Manifesto: “[Gli sviluppi tecnologici] altereranno completamente la natura della regolamentazione governativa, l’abilità di tassare e di controllare le interazioni economiche, la nostra capacità di mantenere segrete le informazioni e perfino la natura della fiducia e della reputazione (…). Lo Stato ovviamente cercherà di rallentare o bloccare la diffusione di questa tecnologia, citando problemi di sicurezza nazionale o l’uso della tecnologia da parte dei trafficanti di droga o degli evasori fiscali. Molte di queste preoccupazioni sono valide (…), ma ciò non fermerà la diffusione della cripto-anarchia”.
Nasce la criptoanarchia
Pubblicato ufficialmente nel 1992, questo manifesto – in cui il termine “criptoanarchia” segnala fondamentalmente una completa sfiducia nei confronti dei governi e la volontà di creare tecnologie che ne contrastino la sorveglianza – fu la base da cui Timothy May, in compagnia dei sodali Eric Hughes e John Gilmore, iniziò a organizzare, sul finire del 1992, dei raduni mensili nella zona di San Francisco allo scopo di discutere di questi temi.
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di Andrea Daniele Signorelli www.wired.it 2022-10-16 04:50:00 ,