CAGLIARI – Commossi, stretti da un lungo abbraccio. Quasi imbarazzati e increduli. Un “come stai?” farfugliato a denti stretti. Un sole palliduccio illumina il cortile della casa-famiglia Emmaus, struttura delle suore e dei padri Somaschi, piena campagna a due passi dall’aeroporto di Elmas. Attorno, i capitani delle nazionali di calcio dei sacerdoti e delle suore, don Walter e Suor Silvia. Le mani di Fabrizio Maiello e Gianfranco Zola, volto tirato e tuta rossa il primo, jeans e pullover blu il vice campione del mondo e Baronetto della Regina, si stringono più volte. L’incontro è speciale. Un filo verde tra salite, discese, errori e riscatto. “Grazie, Gianfranco, grazie!” dice tra le lacrime Fabrizio. “Poterti abbracciare e chiedere scusa era il mio desiderio più profondo. Mi hai aiutato a capire che stavo sbagliando, che da quella vita dovevo uscirne”.
Zola stoppa e la mette all’incrocio: “Sequestrarmi non ti sarebbe convenuto, a quei tempi mangiavo come un lupo!”. Maiello ride e piange. Gianfranco Moro, assicuratore, compare di Zola e ottimo difensore nella Nuorese del futuro campione di Oliena, recupera un pallone. Magic box lo firma. Fabrizio, doti tecniche che da ragazzino ne facevano presagire una carriera importante, prima lo stringe. Poi, lo mette sulla fronte. Si inginocchia, fa “la foca”. Il pallone sta fermo, pare incollato. Gianfranco, applaude. Fabrizio è noto per aver palleggiato senza che la palla cadesse oltre un’ora di fila per le strade di Reggio Emilia. Adesso, sogna di scalare palleggiando il porticato di San Luca a Bologna. Insomma, mattinata ricca di spunti. Umani e solidali. Con una storia da ricucire.
Zola e il rifornimento
I due si sono visti la prima volta trent’anni fa o giù di lì in una stazione di servizio all’ingresso di Parma. Zola, a suon di gol e assist, guidava verso lo scudetto, poi vinto dalla Juventus, Asprilla e gli altri. Maiello ha raccontato spesso quel momento: “Dovevamo rapirlo per chiedere il riscatto al club. Ero con altri tre, lo seguivamo in autostrada, pensavamo di speronarlo. Poi, entrò in un distributore a far benzina. Gli andai incontro, avevo la pistola dietro la schiena. Lui disse con un sorriso affettuoso ‘ciao ragazzi’! Rimasi di sasso, lo ammiravo e gli chiesi l’autografo che mi fece sulla carta d’identità”.
Oggi, un secolo dopo aver visto morire la probabile carriera da professionista per un brutto infortunio, anni di carcere e ospedale psichiatrico, Fabrizio è un altro. Gianfranco lo ascolta. Matteo Buccianti, allenatore delle nazionali con la tonaca e compagno di viaggio di Maiello, fa da ambasciatore. Suor Silvia e Don Walter hanno pensato al resto. “Sono contento e mi piace pensare che Fabrizio abbia raggiunto, e lo ha fatto con una forza interiore davvero notevole, un suo equilibrio. Non è mai facile valutare queste situazioni ma questo è un esempio pregiato per i giovani e per quanti pensano che nelle difficoltà non ci siano vie d’uscita”.
L’autografo sulla copertina del libro
Il vice presidente della Lega di serie C annoda passato e presente. “Infortuni, problemi con i club e cose di questo genere hanno fatto parte della mia carriera. Ma non ho mai mollato!”. L’applauso è collettivo. Icona di sportività, rispetto delle regole e degli avversari, oltreché padrone di una tecnica sopraffina, Gianfranco Zola posa con Fabrizio Maiello. Arriva, in un conciliabolo sottovoce, l’autografo sulla copertina del libro con la dedica “A Gianfranco, il campione dagli occhi dolci, Fabrizio”. Quindi, il pranzetto a base di specialità sarde, dai culurgiones patate e menta, alle panadine, piccole “tasche” di pasta con il ripieno di carni, salsiccia e verdure. A seguire, tutti allo stadio per Cagliari-Bologna.
Zola: “Felice per Fabrizio”
“Aver contribuito a farli incontrare ci riempie il cuore di gioia” aggiunge suor Silvia. La religiosa con le consorelle è in prima fila nell’assistere gli ultimi, orfani e abbandonati. “Sono il fortunato tassista di Zola e Maiello” ironizza don Walter, parroco a Monserrato impegnato in un tenace lavoro sul territorio, tra deboli e sofferenti. Insomma, quel genere di altruismo e condivisione che aiuta e rafforza animo e quotidianità. Gianfranco chiede, si informa. Storie di periferie, disastri familiari, povertà. “Sì, mi sono commosso. Ai tempi del Parma non potevo mai immaginare di poter essere un bersaglio. Oggi, se ripenso a quelle dinamiche, mi sento fortunato. Ripeto, sono felice per Fabrizio autore di una redenzione per nulla facile”.
Fabrizio e il carcere
Oggi Fabrizio è un uomo libero. Ha sessant’anni. Ha conosciuto il bene e il male. Il calcio, le rapine, gli arresti, l’ex Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, quattordici anni di reclusione: “Un inferno in terra2 dice. Dietro le sbarre ha trascorso ventiquattro stagioni. L’hanno battezzato “Il Maradona delle carceri”. Adesso, lotta per chi sta peggio. Gioca da centravanti ed è il bomber della nazionale con la tonaca. Medita, scrive, è vicino ai progetti scolastici di educazione alla legalità. “Ho conosciuto il male e il bene, le peggiori azioni e i più criminosi progetti. Ma anche il riscatto e la bellezza del prendersi cura dell’altro e la profondità dell’amore” ripete spesso. La storia è una, dai mille fili, con un riferimento particolare alle nuove generazioni.
Fabrizio collabora, tra le altre, con Uisp e Libera dalle mafie, partecipa a vari documentari, scrive libri. Allo stadio si è sistemato tra ragazzini della scuola del tifo rossoblù. Ed è spesso testimonial per i detenuti. Tra questi, ricorda Giovanni Marione. “Lui, in quel manicomio ha contribuito a salvarmi la vita e mi ha fatto conoscere l’amore. Giovanni era tre celle più in là. Gli davano tre mesi di vita, non era autosufficiente, aveva un enfisema polmonare, chiesi di metterlo in cella con me. Me ne presi cura, lavandolo, dandogli l’ossigeno. È uscito vivo e questo è il mio più grande record, ma anche il mio atto più coraggioso. Lo dico sempre ai ragazzi: coraggio non è far sdraiare tutti a terra minacciando con una pistola, coraggio è aiutare una persona sola al mondo”. Pausa. Fabrizio tira un sospiro. Cerca Zola. “Grazie, Gianfranco!”