Dune di David Lynch rimane a 40 anni esatti dall’uscita sugli schermi, un oggetto cinematografico a dir poco misterioso e divisivo. Flop tra i più dolorosi e memorabili del genere scifi, uscito in sala il 14 dicembre 1984, per molti è ora un cult da riscoprire, per altri invece come il perfetto esempio di come non fare cinema. Quale sia la verità, di certo il film di David Lynch continua ad esercitare un fascino unico e per certi versi insuperabile.
Un film frutto di un sogno inseguito per vent’anni
Dune di Frank Herbert esce nel 1965 e cambia tutto, ma veramente tutto. Opera monumentale dal punto di vista narrativo ma soprattutto semantico, sancì il trionfo della corrente new wave, capace di influenzare il cinema, la televisione, ogni possibile idea di un altrove fantasioso da lì in poi. Il cinema non stette a guardare. Solo sei anni più tardi un primo tentativo di trasportare il tutto sul grande schermo viene fatto dal produttore Arthur P. Jacobs, che però muore due anni dopo. Sul “più grande film che non è mai stato realizzato”, il Dune di Alejandro Jodorowsky, l’unico consiglio che mi sento di darvi è quello di andarvi a recuperare Jodorowsky’s Dune di Frank Pavich, il documentario dedicato a quell’immensa, folle e irrealizzabile opera, morta prima di nascere. Dalì, Orson Welles, Moebius, O’Bannon, i Pink Floyd, praticamente la versione cinematografica dei Galacticos del Real Madrid. Solo che sarebbe costato come i Galacticos, alla lettera, e quindi niente da fare, il progetto morì.
Poi nel 1976 arriva Dino De Laurentis, c’è alla regia Ridley Scott che però (stranamente) perde la pazienza, manda tutti al diavolo, ha però Blade Runner da regalarci. La figlia di De Laurentis fa il nome di David Lynch, che ha commosso il mondo con il suo Elephant Man. Questi, si trova alle prese con un budget da 40 milioni e un set complesso e gigantesco. Non era pronto, ovviamente, ma occorre dire che condensare in tre ore la saga di Herbert, non era cosa da poco. Non va bene per De Laurentis e la Universal. Massimo due ore e un solo film, dicono a Lynch, e sarà questa scelta a donarci il Dune che molti, a partire da David Lynch, ricordano con ostilità e senso di colpa. Ma davvero è il caso? La realtà è che Dune a quarant’anni esatti di distanza rimane un’esperienza cinematografica inimitabile, nel bene e nel male. Dal punto di vista prettamente estetico, Dune è un film raffinatissimo, pazzesco. Le scenografie di Anthony Masters, Pier Luigi Basile e Giorgio Desideri, gli affascinanti vermi delle sabbie del maestro Rambaldi, le navi concepite da Kit West, lo straordinario lavoro ai costumi di Bob Ringwood…
Tutto questo seguiva una visione in cui vi era traccia del sogno distrutto di Jodorowsky? Certamente tale associazione è certo. Tuttavia, Lynch è l’artefice di un world building genuino, in cui decadenza e progresso vanno a braccetto, dove il passato assume nuova forma nel futuro, con il modernismo che si fonde con l’art déco, un primitivo steampunk che incontra il post-barocco. Lynch sa che è una storia di casate in guerra e allora ecco che il Rinascimento italiano, la corte di Ludwig di Baviera, il retro-futurismo, che sono lì a guidarci nella faida tra Atreides, Harkonnen e la Casa Reale Corrino. Se Star Wars (paradossalmente una costola narrativa del Dune di Herbert) aveva donato al mondo un fantasy-scifi fatto di luci abbaglianti, recuperato l’adventure alla Flash Gordon, la fantascienza anni ‘50, David Lynch con Dune invece si muove in una direzione parallela ma distinta. Questo mondo è violento, violentissimo, fatto di intrighi, tradimenti, di un’ombra fitta che incombe su tutti, che la bellissima fotografia di Freddie Francis rende a volte lussuriosa, a volte minacciosa o tenera.
Dentro tutto questo, la tragedia del Duca Leto (Jürgen Prochnow), di Lady Jessica (Francesca Annis) e soprattutto del giovane Paul Atreides (Kyle MacLachan), travolti da un complotto ordito dalla plurima paternità, per ingombrare l’ascesa della loro casata e soprattutto di Paul, che non immagina di essere il Kwisatz Haderach. E quindi battaglie, complotti, Arrakis e i suoi Vermi e poi lei: la Spezia. Dune diventerà famoso soprattutto per l’espediente della narrazione fuori campo, sia quella della Principessa Irulan (Virginia Madsen), che è soprattutto una narrazione onnisciente classica, sia quella dei vari personaggi. Espediente curioso ma che appesantisce e rende innaturale la narrazione a livello di fluidità, questo è inequivocabile, anche se non per tutti. Lynch non riesce, al contrario di Denis Villeneuve, a rendere chiara la natura e composizione di questo universo strano, ad un tempo medioevale e moderno. Le trovate narrative con cui Dune si stacca e altre volte amplia la creazione di Herbert sono a volte indovinate, altre volte no, ma non si può negare che il film sia sovraccarico per lo spettatore medio.
Pro e contro di un film audace ma sbilanciato
Eppure, a dispetto di tutte le difficoltà sul set, il Dune di David Lynch è un film autoriale in tutto e per tutto, con cui il regista crea il suo Dune in modo non diverso da come Peter Jackson creerà il suo Il Signore degli Anelli. Il che spiega anche perché il film sia risultato detestabile al pubblico medio, data la proverbiale specificità del cinema di Lynch. L’intera narrazione è un’onirica e potentissima odissea sulla trascendenza, sulla creazione come atto supremo, con diverse concezioni di spazio e tempo che Lynch ci ostentazione in modo perfetto. Paul cerca la vendetta e invece trova un viaggio dentro al gioco del trono, che lo rende più vicino al divino che all’umano, Inevitabile il confronto con i due Dune di Denis Villeneuve, due film sicuramente più centrati, coerenti, più fluidi narrativamente e più divertenti. Ma, a giudizio di chi scrive, se da un lato sono due film di fantascienza migliori del Dune di David Lynch, d’altro canto sono anche dei film su Dune non altrettanto riusciti, visto che semplificano le tematiche trattate, in favore puramente di quella politica e di dominio. Importante, certo, ma non la sola.
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di Giulio Zoppello www.wired.it 2024-12-14 05:30:00 ,