Alaska, Biden salva l’orso polare: cancellati i permessi petroliferi di Trump

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Gli orsi polari potranno continuare a riprodursi in pace lungo le coste dell’Alaska nord-orientale. Sono diventate il loro nuovo rifugio, da quando il cambiamento climatico li ha costretti a sfuggire allo scioglimento dei ghiacci e a trovare riparo sulla terraferma. E lo stesso vale per alci, lupi e caribù e tutte le specie che abitano l’Arctic National Wildlife Refuge, 78 mila metri quadrati (un quarto della superficie dell’Italia), considerata l’ultima zona selvaggia del continente nord americano. Allo stesso tempo, un’area nel cui sottosuolo sono stimati fino a 11 miliardi di barili di greggio.

Ma i delicatissimi equilibri dell’ecosistema di questo angolo dell’Alaska non saranno più minacciati da trivelle e piattaforme petrolifere. Come aveva annunciato in campagna elettorale, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è intervenuto per cancellare i provvedimenti presi dal suo predecessore. E’ stato calcolato dagli esperti che ci vorranno almeno due anni per azzerare le nuove emissioni di gas serra provocate dalla politica estremamente permissiva di Donald Trump nei confronti dell’industria degli idrocarburi.

Uno dei tanti provvedimenti presi dall’imprenditore diventato, a sorpresa, candidato e poi presidente repubblicano ha riguardato l’Alaska e il suo territorio da sempre più tutelato, dove nei mesi invernali arrivano gli orsi polari per costruirsi tane dove partorire. Trump non ha avuto dubbi nell’abolire i regolamenti di perforazione approvati dalla precedente amministrazione Obama che hanno protetto l’Arctic Wildlife National Refuge. Regole fondamentali “per garantire una adeguata sicurezza e protezione ambientale per questo sistema sensibile e le attività di sussistenza dei nativi dell’Alaska”.

Si è così espressa Deb Haaland, segretaria degli Interni solo pochi giorni fa quando ha ripristinato il regolamento che impone alla società petrolifere di fornire tutta la documentazione in cui si dimostra come potrebbero essere in grado di fermare eventuali fuoriuscite di greggio dai giacimenti.

Di fatto, un modo per impedire l’assegnazione delle licenze. Come spiegano siti di settore, le zone dell’Artico come l’estremo nord dell’Alaska non sono protette solo dai costi eccessivi per l’estrazione del greggio (che diventano economici solo quando le quotazioni del petrolio sono attorno ai 100 dollari), ma anche dall’impossibilità di poter garantire operazioni di bonifica standard in caso di incidenti.

Lo dimostra il fatto che molti progetti che hanno preso il via grazie alle politiche permissive di Trump non sono mai decollati proprio per una questione di costi: nel 2017, il gruppo italiano Eni era stato uno dei primi ad approfittare del “liberi tutti” dell’amministrazione repubblicana per annunciare le prime esplorazioni al largo delle coste dell’Alaska.

In ogni caso, Trump ci ha provato fino all’ultimo. A gennaio, pochi giorni dal passaggio di consegne con Biden, la sua amministrazione ha bandito la gara inviti per l’asta delle autorizzazioni: in palio due zone distinte, da 400 mila acri ciascuna (circa sette volte la Lombardia).

Peccato che non  si sia presentato nessuno: le compagnie petrolifere. Alle prese con il calo della domanda in seguito alla pandemia e di fronte e politiche governative sempre più rivolte alla lotta alle emissioni inquinanti, devono capire come sopravvivere alla transizione energetica. Per non parlare del fatto che Biden ha subito riportato gli Stati Uniti all’interno degli accordi di Parigi sul clima e che le banche – sempre più pressate dai fondi etici e fondi pensione – sono sempre più restie a concedere finanziamenti per progetti contestati da associazioni ambientaliste e comunità locali.

Il fatto che la zona più selvaggia dell’Alaska sia stata messa nuovamente in sicurezza non significa che sia venuto meno l’interesse di società petrolifere e di alcuni governi per le risorse che si trovano nel sottosuolo dell’Artico: si calcolano che qui si trovi il 13% delle riserve di greggio individuate, che salgono al 30% per il gas naturale.

Giacimenti che lo scioglimento dei ghiacci ha reso accessibili, così come ha aperto la strada al passaggio a nord ovest, che permette di utilizzare le rotte settentrionali del commercio marittimo, in modo da risparmiare fino a una settimana rispetto ai collegamenti tradizionali Asia-Europa-America che passano dal canale di Suez. Per non parlare della possibilità di sfruttare i giacimenti delle “terre rare”, i metalli della transizione ecologica, fondamentali nelle tecnologie delle tlc, dell’auto elettrica e delle rinnovabili, di cui le terre artiche sono ricche.

L’orso polare dell’Alaska del nord-est può dormire tranquillo nella sua tana, ma non è detto che altrove gli habitat naturali non siano minacciati.    



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