Silvio Berlusconi è scomparso a pochi mesi dall’insediamento del primo governo di destra-destra della storia repubblicana. Una coincidenza, legata alla durissima malattia di cui soffriva l’ex premier e aggravata dall’anzianità e da una storia clinica complicata. Ma anche un cerchio che, simbolicamente e politicamente, si chiude.
La morte del formidabile imprenditore televisivo, dello “showman che ha ribaltato la politica e la cultura italiane” come lo ha appena definito il New York Times, del pregiudicato o del più amato o più odiato dagli italiani, a seconda di come si consideri la sua lunghissima parabola nei mille gangli del business e della politica, archivia anzitutto e definitivamente il tentativo di costruire in Italia un centrodestra liberale di stampo europeo. Non perché ci fossero delle residuali promesse sul fatto che Forza Italia potesse divenire tale, figuriamoci. Ma proprio perché l’addio del suo dominus solleverà anche da quel presunto progetto, da quel cantiere mai terminato e forse mai avviato, l’insopportabile velo di ipocrisia. Tanto più nel mezzo di un esecutivo a tinte tutt’altro che liberali. Era un bluff.
Attrazione a destra
È stato proprio Berlusconi a non potere e volere mai prescindere, in gran parte per il funzionamento del sistema istituzionale ma anche per chiara scelta politica, dai suoi alleati di estrema destra nelle varie stagioni della sua storia politica dall’inizio degli anni Novanta: dalla Lega ad Alleanza nazionale fino a Fratelli d’Italia. L’ingrediente centrista e liberale è stato sempre residuale, minimale, quasi di colore o utile a infilare lo scudo crociato sulla scheda, dagli Alfano ai Rotondi, da Casini ai Buttiglione fino alle sirene a cui abboccarono i radicali o all’avanspettacolo puro di certi “responsabili”.
Il primo governo Berlusconi, 1994-1995, contava per esempio 5 ministri e 12 sottosegretari di Alleanza Nazionale oltre che 5 ministri e 10 sottosegretari della Lega. Molti anni dopo, nel secondo esecutivo, i ministri di An furono a inizio mandato 4 (per salire a 5 al termine del mandato, con 3 viceministri) con 10 sottosegretari, quelli della Lega 3 con 6 sottosegretari. Al terzo tentativo An contò 6 ministri e ben 16 fra vice e sottosegretari, nel quarto, tragico governo della crisi nazionale fra 2008 e 2011 rispettivamente 4 e 8, con altrettanti ministri della Lega. Una di quelle ministre era, non a caso, una 31enne Giorgia Meloni.
Naturalmente non è solo questione di numeri, legati all’assetto e agli equilibri delle maggioranze alle Camere: Berlusconi ha fallito, sempre che ci abbia mai davvero puntato, nel tentativo di creare un partito unico di centrodestra che raccogliesse le diverse anime e i diversi percorsi, anche i più scivolosi e contraddittori come quelli post-fascisti, trasformandoli in qualcosa di digeribile sotto un’unica insegna. I vari poli e le diverse case delle libertà non sono state altro che cartelli elettorali, contenitori per giunta mai troppo graditi ai leader che si sono succeduti nel tempo e con cui l’ex premier ha condotto, finché ha potuto, un braccio di ferro sulla leadership.
Nuovi spazi?
Guida poi appassita a causa dei risultati elettorali, del peso stesso di Forza Italia in quell’alleanza, dello scorrere del tempo, delle indagini e della sentenza passata in giudicato sul caso Mediaset nel 2013 e da molti altri fattori. L’assoluta personalizzazione del suo non-partito racconta d’altronde che il primo a non averci mai davvero creduto, anche perché non avrebbe potuto e avrebbe ceduto porzioni troppo ampie di potere e influenze, è stato proprio Berlusconi. A poche ore dalla morte, infatti, alcuni come l’ex viceministro Gianfranco Micciché spiegano che “non ci sarà più Forza Italia. Muore con Silvio. È un fatto scontato“.
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di Simone Cosimi www.wired.it 2023-06-12 13:07:45 ,