Bici, borse, giochi: decolla l’economia del recupero circolare, sostenibile e solidale

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Il tradizionale modello di economia lineare, che ha come ultima fermata i bidoni dell’immondizia, oggi lascia più spazio alla circolarità solidale. Se applicato ad ogni segmento della nostra società, l’“upcycling” elimina i rifiuti, crea ricchezza dal riciclo del materiale fuori uso, genera nuovi posti di lavoro e può avere un obiettivo di solidarietà. A fare tendenza è la moda sostenibile: molti stilisti emergenti focalizzano l’attenzione sul riciclo di materiali provenienti da stock di magazzino, disegnando una trama di recupero creativo e sociale.

La fiaccola del riuso responsabile è partita nel 2008 dal quartiere Zen di Palermo, conosciuto come il “Bronx” delle case abusive e dello spaccio. Qui è nata l’associazione LabZen2 di Maruzza Battaglia, che ha messo in moto un motore solidale da un’attività di sartoria, partendo da qualche avanzo di stoffa. Non si tratta di effimeri corsi di cucito: lo scopo di LabZen2 è stare vicino alle donne dello Zen, la zona espansione nord di Palermo, da cui tutti vorrebbero invece stare alla larga. «La prima volta che vi entrai fu un pugno nello stomaco. Solo masse di detriti, macchine bruciate e ratti. Una landa desolata, ma non ho mai avuto paura di questo quartiere», racconta Maruzza, produttrice di borse di stoffa di elevato pregio artigianale.

La designer siciliana Marina Lo Verso progettò i primi prototipi di borsette e anche il logo di Zen al quadrato per esprimere la volontà di potenziare le forze per cambiare il volto ad un quartiere degradato. «Con le mie sorelle siamo cresciute nella bellezza. Ce l’hanno insegnata i nostri genitori. Chi conosce la nostra storia, sa che le boutique Battaglia sono state punto di riferimento per le signore di Palermo. LabZen2 è il naturale proseguo alla storia. Con un risvolto in più, ho voluto donare il mio bagaglio di esperienza alle donne di periferia. La bellezza contro il degrado». L’obiettivo è insegnare alle abitanti dello Zen l’indipendenza e l’importanza di lavorare. «Le ragazze del quartiere passavano le giornate a dormire, erano depresse e interessate soltanto al guadagno immediato. Non capivano cosa significasse investire sul proprio futuro».

Le borsette con un’anima etica, fatte per donne da altre donne, sono state chiamate al femminile: Saridda, Nunziatella, Trinetta, Letteria, Oliva, Tindara, Liboria, Ninfa e Catena. Questi pezzi unici rappresentano un’eleganza speciale carica di riscatto sociale e affermazione concreta di legalità. Il LabZen2 è diventato una scuola in cui effettuare corsi di cucito creativo per gli inoccupati delle zone popolari ed è aperto ad accogliere sia uomini che donne di qualsiasi etnia, nel quartiere San Lorenzo sede di un ex possedimento mafioso. «Quando uscì il bando per i beni confiscati, scelsi un magazzino sulla strada, nel quartiere San Lorenzo, molto vicino allo Zen, perché è qui che voglio stare», aggiunge Maruzza, che ha conosciuto anche la realtà dei migranti, per lo più sarti provenienti da Guinea, Senegal e Nigeria. «Da me questi giovani svolgono il tirocinio, ma dopo sei mesi vanno via, pur rimanendo legati a questo luogo. C’è in particolare un ragazzo di nome Salu che ho assunto con regolare contratto. È molto bravo e per me è come un figlio. Ha vent’anni e voglio che vada avanti, tra poco dovrà lasciare la abitazione d’accoglienza dove ha vissuto».

Dagli avanzi di seta, cotone e taffetà delle damascate borsette siciliane, considerate le pietre miliari di un processo di integrazione sociale per l’isola, ci si sposta verso nord-est: tra i broccati veneziani ricuciti a mano per i modelli della collezione #BACKtoLIFE di McArthurGlen Noventa di Piave Designer Outlet. Si tratta di cento borse ideate dalla stilista Carla Plessi, fatte con pellami pregiati provenienti da stock inutilizzati e ricuciti a cuoio e velluti di altre rimanenze di magazzino. Anche in questo caso bando alle frivolezze, poiché il progetto modaiolo è stato utile ad un gruppo di donne per recuperare la dignità persa e acquisire di nuovo autonomia.

Ad assemblare tutti i materiali ci hanno pensato infatti le ragazze madri della Casa Famiglia San Pio X di Venezia. «La fantasia, la creatività, la ricchezza del nostro pensiero non è disgiunto da un oggetto così fantasioso com’è la borsa. Questi oggetti sono imperfetti, fatti a mano e le loro imperfezioni sono proprio come quelle delle nostre vite. #Backtolife è un progetto per donare nuova bellezza alle persone e agli oggetti», dice Carla Plessi. Arte, abilità e competenze donate a queste donne per avviarle nel mondo del lavoro, in un momento in cui si fa necessario il concetto di circolarità che parte dalla moda, giungendo là dove serve una mano per ricominciare. Le borse di #Backtolife hanno anche ricevuto un posto d’onore nel bookshop del Teatro La Fenice, così come tutte quelle donne svalutate dalla società che hanno avuto la possibilità di mettere in mostra le proprie capacità ritornando a credere in se stesse.

Alla base dell’economia circolare c’è sicuramente il connubio con la solidarietà e i magazzini del riuso sono considerati i nuovi centri commerciali sostenibili del futuro, «perché oggi si può fare il massimo anche con il minimo»”. È il motto calzante di Daniele Guidotti, direttore del Centro del riuso “Daccapo” di Capannori, in provincia di Lucca. «Chi visita Daccapo comprende subito che tutti possono avere una seconda chance. Qui è possibile rendere nuovamente presentabili oggetti usati per poi ricollocarli su un mercato solidale» spiega Daniele. L’idea nasce dall’intuizione della onlus Ascolta La Mia Voce, con la Caritas di Lucca e le aziende di gestione rifiuti e una parte degli oggetti è destinata a detenuti e famiglie seguite dai servizi sociali.

«Abbiamo anche una sartoria, un laboratorio di falegnameria e un’officina per riparare biciclette. Gli impiegati hanno tutti ricevuto un corso di formazione per garantire loro un futuro inserimento nel mondo del lavoro», aggiunge Daniele, che ha applicato l’idea del riuso anche alla sua prima passione, fondando la Gaudats Junk band: otto amici ecologisti che suonano con strumenti derivanti da vecchie cassette in legno, bidoni, scope e scolapasta. «In questi due progetti ho investito tutta la mia vita, ma non c’è nulla di inventato: per gli strumenti musicali, per esempio, bisogna reperire i materiali, capire come assemblarli, rispettando le leggi matematiche». In era Covid-19, l’economia del riuso si sta sempre più integrando ad iniziative di mutuo aiuto per famiglie in difficoltà.

Durante il primo lockdown, è nata infatti a Varese l’associazione Casa del giocattolo solidale, una rete di appoggio per i nuclei familiari disagiati. «Al momento l’associazione aiuta più di duecento bambini e il nostro motto è “Dona un giocattolo, regala un sorriso!”, perché negli occhi di un bambino felice è racchiuso il senso della vita. Il gioco aiuta ad acquistare fiducia nelle proprie capacità, sviluppando la parte sensoriale e motoria», spiega Ivan Papaleo, presidente dell’associazione. I trenta volontari svolgono anche doposcuola a domicilio, regalando alle famiglie il materiale scolastico che non possono acquistare. «Consegniamo anche articoli per l’infanzia e camerette; quest’anno abbiamo comprato trenta kit-nascita con tutto il materiale occorrente per un bimbo appena nato. È un modo per regalare alle famiglie la serenità».

La Casa del Giocattolo Solidale crede fermamente che il sostegno ai minori sia fondamentale per regalare un futuro migliore alle generazioni che vivranno e animeranno le nostre città. «Ovviamente per progetti del genere è necessario il coinvolgimento di personale qualificato, che anche su base volontaria, mette al servizio la sua esperienza per le nostre attività». Dai giocattoli dimenticati in soffitta agli elettrodomestici e complementi di arredo: una valanga di oggetti messi gratuitamente a disposizione delle famiglie bisognose attraverso il lavoro di persone “speciali”.

Sono i collaboratori del Progetto riuso dell’Associazione “Con-tatto” di Traversetolo, in provincia di Parma, nata nel 2008 con attività di recupero dell’usato. «Puntare sull’economia circolare ci è sembrato il “luogo dell’accoglienza”, in cui simbolicamente si può offrire una seconda occasione agli oggetti e dare anche una nuova possibilità alle persone», spiega la promotrice Giulia Piccioni. L’associazione ha anche garantito ad un gruppo di ragazzi diversamente abili un inserimento lavorativo. «Il progetto ha visto il coinvolgimento in attività di riuso ed economia circolare di persone individuate dal servizio sociale territoriale, per un totale di sedici ore settimanali a testa, offrendo loro l’affiancamento educativo necessario attraverso tirocini formativi. Oltre a rappresentare un’occasione di inclusione, le attività permettono la realizzazione di interventi di sostegno a favore di altre famiglie disagiate attraverso la fornitura gratuita di arredi usati».

Una rete per creare relazioni vere per un progetto che mette in evidenza il valore e l’impatto positivo dell’economia circolare sull’intera comunità. I centri del riuso si trasformano così in laboratori di sostenibilità applicata e costruzione di relazioni profonde, in cui l’economia del profitto non trova molto spazio. Qui gli oggetti smettono per un attimo di rimanere standardizzati e si ritorna a dare il giusto valore alle cose, non solo a calcolarne il prezzo. Ed è tutto in divenire: dal tronco dell’albero dell’economia circolare solidale si è sviluppato un altro ramoscello, quello della sharing economy (l’economia della condivisione) che mette in collegamento proprietari e nuovi utenti interessati a questi progetti, attraverso l’uso di piattaforme digitali gratuite che segnalano gli oggetti rimessi sul mercato. La condivisione è la vera risorsa per superare le disparità economiche e sociali, ma bisogna cambiare prospettiva e re-imparare a guardare meglio ciò che abbiamo tra le mani.



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di Stefania Di Pietro
espresso.repubblica.it
2021-09-14 07:59:00 ,

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