Dazi, dazi, dazi: il mantra protezionista imperversa negli Stati Uniti come in Europa, recitato a destra e a sinistra da leader a caccia di consensi, in vista delle prossime scadenze elettorali. Lo spauracchio è sempre lo stesso: la Cina, accusata di inondare la propria industria di sussidi a scapito dei concorrenti occidentali. Sotto tiro, in questa fase, c’è l’industria della transizione energetica, come pure l’acciaio.
Da Trump a Biden
La Casa Bianca è pronta a varare nuovi dazi contro la Cina, che colpiranno auto elettrica, minerali critici, batterie e pannelli solari. La decisione arriva al termine della lunga revisione della raffica di tariffe varate dall’Amministrazione Trump a partire dal 2018: la trade war. L’annuncio è atteso per il 14 maggio. Secondo il Wall Street Journal, i dazi sull’auto elettrica potrebbero salire addirittura al 100%, dall’attuale 25%. Un’ulteriore tassa del 2,5% scatterebbe su tutte le automobili importate negli Stati Uniti.
Lo scorso mese, il presidente Joe Biden aveva dichiarato l’intenzione di triplicare i dazi su acciaio e alluminio cinesi, che stanno nuovamente inondando i mercati. Sotto tiro anche la cantieristica navale di Pechino, che potrebbe a sua volta finire presto sotto indagine. Capitoli che si sommano alla miriade di restrizioni varate in questi anni nei confronti delle aziende tecnologiche della principale rivale degli Stati Uniti. Tutte confermate, ovviamente, le tariffe decise nell’era Trump: ennesima riprova del fatto che le inclinazioni protezionistiche statunitensi sono trasversali agli schieramenti politici.
Più propaganda che sostanza
Scontata la reazione cinese. «Invece di correggere le loro politiche sbagliate, gli Stati Uniti Proseguono a politicizzare le questioni economiche e commerciali. Aumentare ancora i dazi significa aggiungere l’insulto al danno», ha dichiarato il 10 maggio Lin Jian, portavoce del ministero degli Esteri, durante un briefing con la stampa.
Le tariffe minacciate, peraltro, avrebbero probabilmente un impatto limitato sulle aziende cinesi. I produttori di auto elettriche, leader a livello mondiale (la Cina ha cominciato a investire nel 2007, quando non c’era nemmeno un mercato), sono stati tenuti fuori dagli Stati Uniti dai dazi già esistenti. I produttori di pannelli solari, invece, esportano negli Usa passando da Paesi terzi, proprio per evitare le restrizioni già esistenti, che hanno già ridotto al lumicino le importazioni di acciaio e alluminio made in China.