Black Panther: Wakanda Forever, analisi cinica di un film triste

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Chi vi scrive aveva paura di questo film.

Probabilmente ci sarebbe stato da averne paura anche se Chadwick Boseman non fosse deceduto.

Già all’uscita del primo film, quello che si radunava intorno a Black Panther, probabilmente sull’onda dei primi guizzi di quello che oggi qualcuno chiama “cultura woke”, e qualcun altro “politicamente corretto”, appariva molto più simile a un vero e proprio culto che non a un comunissimo fandom, un culto sorretto più sul fatto che si trattasse del primo cinecomic con un protagonista nero (almeno agli occhi di chi non si ricorda dei Blade con Wesley Snipes), che non sull’effettiva qualità del film.

Ma il re è deceduto, e se l’Inghilterra ci ha recentemente insegnato qualcosa, è che quando se ne va un monarca è sempre un gran casino: se prima Black Panther era “solo” l’Avenger che aveva incassato di più e che vantava la percentuale di gradimento più alta su Rotten Tomatoes, adesso sembra trasceso insieme al suo compianto interprete al rango di divinità intoccabile, lasciando nelle mani di Kevin Feige la gigantesca pantera da pelare di dare un seguito a un film letteralmente venerato, e che ora si ritrova privo del suo protagonista.

Ecco perché chi vi scrive aveva paura di questo film.

Perché in un modo o nell’altro, “the show must go on”.

Perché anche se fosse stato brutto quanto Lanterna Verde, la critica lo avrebbe comunque elogiato, più di quanto elogia di solito un film della Marvel, perché non si può parlar male di un film pensato per omaggiare un defunto.

Perché, vuoi o non vuoi, un film va analizzato con la testa, ma questo film alla testa, come era chiaro fin dai primi teaser, non vuole parlare.

Chi vi scrive aveva paura di questo film. E ora che lo ha visto ne ha ancora di più.

Perché detto in tutta sincerità, se gli è piaciuto o meno non lo ha ancora realmente capito.

Lui vive in te

Partiamo col dire che Wakanda Forever, fin dal prologo, farà male.

Certo, già sapevamo che T’Challa sarebbe deceduto anche nel film, ma Ryan Coogler non si limita a riferirci la morte del re, ma, pur non potendola mostrare direttamente, ce la fa vivere: il senso di frenesia, quasi di sadica eccitazione quando la situazione comincia a precipitare, i tentativi strazianti di aggrapparsi a qualunque accenno di speranza, e il vuoto assordante che cala su tutto quando anche quella è perduta, il tutto seguito da quel funerale che ci era già stato ampiamente anticipato dai trailer.

Insomma, se siete stati anche solo in piccola parte emotivamente coinvolti dalla vicenda di Chadwick Boseman, il film riesce egregiamente a riaprire la piaga con un crudele gioco metacinematografico, a colpire sotto la cintura prima ancora che l’iconica intro dei Marvel Studios, stavolta priva del classico tema musicale e interamente costituita da immagini del defunto attore, faccia la sua comparsa, e fin da subito ogni resistenza a eventuali criticità diventa inutile.

Ma quali criticità?

Beh, i più grandi timori del sottoscritto riguardavano principalmente tre aspetti: la scelta di non recastare Chadwick Boseman, l’introduzione di Riri Williams/Ironheart, e non ultimo, il minutaggio di ben due ore e quaranta.

Per quanto riguarda la gestione degli ultimi due punti, chi vi scrive può dirsi soddisfatto.

Due ore e quaranta per un film del genere potevano sembrare veramente troppe, ma a visione finita non viene in mente alcuna scena che se tagliata avrebbe fatto fluire meglio il tutto.

Per quel che riguarda invece Riri Williams (Dominique Thorne), per dirla in maniera cinica, cattiva, superficiale, terra terra, e perché no anche un filino sessista, già il film ruota intorno a una ragazzina intelligente che si ritrova a sostituire un eroe deceduto, se come coprotagonista ci fossimo ritrovati un personaggio praticamente identico dal punto di vista delle caratteristiche, delle capacità, e persino dell’aspetto, il sottoscritto temeva che il nostro interesse per entrambe avrebbe rischiato di calare, ma così non è stato: Riri Williams viene efficacemente differenziata rispetto a Shuri, è ben integrata nella trama del film (anzi, indirettamente è proprio lei a dare inizio a tutto), e in generale il personaggio funziona molto bene, tanto che la curiosità di chi vi scrive nei confronti dell’imminente serie Disney+ a lei dedicata è sensibilmente aumentata (contrariamente alla vostra stima nei confronti del sottoscritto dopo queste ultime considerazioni).

E rimandando un parere sulla questione del mancato recast alla fine dell’articolo, è ormai evidente come il tema centrale del film sia quello dell’elaborazione del lutto, la caduta nello sconforto e l’uscirne più forti di prima, e in questo senso le due vere protagoniste della storia sono la coppia madre-figlia di Shuri (Letitia Wright) e Ramonda (Angela Bassett), le due facce del dolore, ma anche le due facce del Wakanda stesso: da un lato la profonda spiritualità, dall’altro il pensiero e il metodo scientifico.

Da un lato la ricerca della speranza e la volontà di vedere un disegno più grande persino nella tragedia più insopportabile, dall’altro la rassegnazione, e il rifiuto di guardare al di là di ciò che è concreto.

Da un lato il desiderio di rinascere, dall’altro lato il tormento, l’autodistruzione, e l’incapacità di perdonare sé stessi.

Namor ch’a nullo amato amar perdona

Parlando della gestione dei personaggi, è da notare come, nonostante i protagonisti del primo film non ci siano più, Ryan Coogler sia riuscito a creare una sorta di continuità con il precedente capitolo tramite i personaggi che gli sono rimasti, e quelli introdotti ex novo.

Il vero successore spirituale di T’Challa non è infatti tanto Shuri, quanto Ramonda, personaggio carismatico, sfaccettato e regale come pochi altri possono vantare nel MCU: tanto forte quanto provata, tanto severa quanto affettuosa, colei che più di tutti avrebbe motivo di abbandonarsi allo sconforto, ma che resta invece solido punto di riferimento per sua figlia come per la sua intera nazione.

Per contro, il surrogato di Killmonger è invece l’esordiente Namor. “Esordiente” si fa per dire visto che parliamo letteralmente del primo personaggio mai creato dalla Marvel in quell’ormai remoto 1939, il quale ha avuto però la sfortuna di arrivare su schermo così tardi da costringere Ryan Coogler a stravolgerlo completamente legandolo alla cultura Maya, così da accontentare quella Hollywood sempre più attenta alla rappresentazione delle minoranze, e al tempo stesso far sì che Namor non appaia semplicemente come un altro Aquaman agli occhi del pubblico generalista.

La rielaborazione del personaggio comunque funziona: le potenzialità visive dei suoi poteri vengono sfruttate al massimo per realizzare delle scene d’azione spettacolari ed intense, la rappresentazione del regno di Talocan si distingue nettamente, grazie alle sue acque torbide e alle sue atmosfere solenni ed inquietanti, dalla fin troppo patinata Atlantide dei film DC, e in generale la scelta di Namor come antagonista risulta perfettamente contestualizzata con le tematiche del film (in particolare la simbologia legata all’acqua come vita, morte e rinascita è estremamente presente lungo tutta la pellicola). È però la sua caratterizzazione a dare più problemi: se da un lato l’arroganza e l’odio per il mondo di superficie tipici del personaggio vengono mantenuti, le sue motivazioni risultano troppo deboli e forzate per potervi empatizzare fino in fondo, le sue azioni troppo estreme per poterlo definire semplicemente un antieroe, e le sue intenzioni troppo simili a quelle di Killmonger per non provare anche solo in minima parte un senso di già visto.

E Shuri? Beh, Shuri in un certo senso rappresenta entrambi.

È motivata dalla genuina volontà di proteggere il Wakanda, ma anche dalla rabbia e dalla vendetta.

Il suo intero arco narrativo ruota intorno alla ricerca della pace sia dentro di lei che per il suo paese, ma tale ricerca è ostacolata dal suo fortissimo senso di colpa e frustrazione.

Essendo ormai lei l’assoluta protagonista, il film sceglie di rendere il suo arco narrativo il più completo possibile, approfondendo il suo eroismo così come il suo lato oscuro, nella speranza che tutto questo basti a reggere il film.

Eppure non basta.

Non basta Shuri, non basta Ramonda, non basta Namor, e non basta neppure la scena mid credits che, oltre a essere fortemente emotiva, getta anche le basi per il futuro del franchise come è ormai di tradizione presso il MCU.

Ma tutto questo non è sufficiente a reggere un film che, pur essendo letteralmente saturo di elementi, non riesce a compensare l’assenza di un protagonista carismatico intorno alla cui figura avrebbe dovuto ruotare un’intera trilogia e non un singolo film, che meritava un arco narrativo lungo e soddisfacente e non che questo venisse troncato malamente e per di più off screen.

Certo, probabilmente questo senso di vuoto che sembra permeare tutta la pellicola è stato voluto dal regista Ryan Coogler, intenzionato a restituire proprio quel senso di vuoto che la morte di Chadwick Boseman ha lasciato nel franchise, ma proprio per questo varrebbe la pena chiedersi se invece non sarebbe stato più giusto un recasting.

D’altronde non dimentichiamoci che lo stesso Boseman ha tenuto segreta la sua malattia proprio per la speranza di continuare a interpretare T’Challa, e recentemente uno dei fratelli dell’attore ha dichiarato che questi sarebbe stato a favore di un recasting per proseguirne la storia.

Siamo quindi proprio sicuri che la scelta di uccidere anche T’Challa non sia stata un po’ avventata e presa di pancia?

Vale davvero la pena di fare un bel film tributo, se il prezzo è quello di condannare una saga a essere priva del suo vero protagonista?

Si potrebbe obiettare che il protagonista in questione sia ormai deceduto, e che l’unica opzione alternativa a questo film fosse la cancellazione dei seguiti, ma la verità è che non è così.

Chadwick Boseman era sicuramente un bravo attore, non il Marlon Brando per il quale si cerca di farlo passare ma sicuramente abile ed estremamente dedito al suo mestiere, e il suo lavoro su Black Panther lo dimostra, ma la cruda realtà è che ogni attore è insostituibile finché non lo hai sostituito.

Sulla base dello stesso ragionamento non avremmo dovuto avere un nuovo Joker dopo Heath Ledger, o un nuovo Superman dopo Christopher Reeve, e non sarà certo la morte di Chadwick Boseman a cambiare questa realtà, anche perché quella stessa Marvel che si è tanto prodigata per omaggiare la sua eredità non si è fatta tutti questi problemi a chiamare Harrison Ford per sostituire il defunto William Hurt, il quale ha avuto la sfiga di essere troppo vecchio e bianco per suscitare il cordoglio del grande pubblico, nel ruolo di Thunderbolt Ross.

L’approccio dogmatico e ideologico non va d’accordo con l’arte, questo dovrebbe essere ormai chiaro a chiunque, ma viviamo nell’epoca della cancel culture, delle follie del politicamente corretto e dell’ostentazione spacciata per impegno sociale, e questo film è solo l’ennesima vittima di un modo totalmente sbagliato di pensare il cinema di una certa parte del pubblico.

Black Panther ritornerà.

T’Challa no. Lui è deceduto insieme al suo interprete.

Il secondo lo ha ucciso il cancro, ma il primo lo hanno ucciso i suoi fan.



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di Ivan Guidi
www.2duerighe.com
2022-11-10 12:04:06 ,

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