I calciatori professionisti a quanto pare hanno eccellenti capacità di pianificazione. Adattamento rapido all’ambiente. Grande apertura alle novità e grande resistenza alla pressione. Abilità cognitive superiori alla media, per quanto riguarda sia le funzioni esecutive che la memoria di lavoro. La scienza ha parlato, ed è tempo di rivedere lo stereotipo che non li associa ad una grande intelligenza. Un gruppo di scienziati di diversi istituti di studio, tra i quali figura anche l’italiano Leonardo Bonetti, professore associato alla Aarhus University danese e ricercatore in neuroscienze alla University of Oxford, ha infatti faticosamente portato a termine uno studio sperimentale sul profilo psicologico e sulle capacità cognitive di oltre duecento calciatori professionisti (della serie A brasiliana e svedese), mostrando per l’appunto che questa categoria di atleti hanno caratteristiche (non solo fisiche) fuori dal comune. Lo studio è stato pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences.
Oltre alle gambe c’è di più
“Il nostro obiettivo – ci ha spiegato Bonetti – era di studiare le caratteristiche dei calciatori professionisti dal punto di vista delle abilità cognitive e della personalità. Il nostro è il primo lavoro a occuparsi del tema su larga scala”. Infatti, gli altri lavori che avevano cercato di comprendere quali fossero le caratteristiche che rendessero gli atleti d’élite diversi dal resto della cittadinanza si erano concentrati soprattutto, finora, sulle loro caratteristiche fisiche; ma era evidente che ci dovesse essere anche dell’altro. Per indagare la cosa, i ricercatori hanno selezionato 204 calciatori professionisti militanti nelle massime serie di Brasile e Svezia e hanno loro somministrato dei test e dei questionari per la valutazione dei tratti della personalità e delle abilità cognitive; successivamente, per avere un gruppo di controllo con il quale confrontare i risultati, hanno ripetuto l’operazione su un campione di altre 124 persone che non erano atleti professionisti. “Per la valutazione della personalità – dice ancora Bonetti – abbiamo fatto riferimento ai cosiddetti ‘Big Five’, i cinque tratti standardizzati e scientificamente validati”. Si tratta (le traduzioni italiane non sono precisissime) di estroversione-introversione, gradevolezza-sgradevolezza, serietà-negligenza, nevroticismo-stabilità emotiva, apertura mentale-chiusura mentale. “Per quanto riguarda le abilità cognitive, invece, abbiamo sottoposto ai calciatori e al gruppo di controllo dei test per valutare le funzioni esecutive e la memoria di lavoro, oltre a test logici per valutare le capacità di ragionamento e pianificazione”.
Le differenze
I risultati dello studio hanno mostrato che i calciatori professionisti superano di gran lunga il gruppo di controllo nelle funzioni esecutive, ossia nella capacità di risolvere problemi rapidamente, adattandosi a situazioni in evoluzione: ciò vuol dire che nei loro cervelli è particolarmente affinata la capacità di pianificare movimenti e azioni di gioco in anticipo, inibire comportamenti “perdenti”, esercitare il controllo degli impulsi ed essere flessibili. “Nel calcio c’è un’interazione costante tra 11 giocatori in ogni squadra, e l’ambiente cambia molto velocemente – ha commentato Predrag Petrovic, un altro autore del lavoro affiliato al Karolinska Institutet svedese – L’inibizione dei comportamenti, per esempio, è quello che accade quando un difensore si trova davanti un attaccante che, per dribblarlo, cambia improvvisamente direzione: questo richiede loro di inibire immediatamente il comportamento in corso e di adattarsi alla nuova situazione di gioco per non essere superati”. Sono emerse differenze anche per quanto riguarda i tratti della personalità: “I calciatori analizzati hanno, in media, più estroversione, più serietà, più apertura alle nuove esperienze e più controllo dell’ansia rispetto al gruppo di controllo – continua Bonetti – ma hanno ottenuto punteggi minori sull’ ‘agreableness’”, un tratto che si potrebbe tradurre con piacevolezza o gradevolezza. Sostanzialmente, vuol dire che sono più antipatici rispetto alla media.
Lo capisce anche l’Ai
I ricercatori hanno poi passato i dati a un algoritmo di machine learning, per vedere se fosse possibile addestrarlo a riconoscere, sulla sola base dei risultati dei test, chi fosse un calciatore professionista e chi non lo fosse. I risultati sono stati positivi: “Abbiamo misurato un’accuratezza del modello del 97% – ci dice ancora il ricercatore italiano – il che vuol dire che anche una macchina riesce a distinguere il profilo dei calciatori da quello del gruppo di controllo”, il che sembra ulteriormente corroborare la solidità dei risultati. E adesso? “La nostra intenzione – conclude Bonetti – è ora quella di ripetere lo studio su un altro campione di calciatori, magari militanti in altre serie, e di ampliarlo provando a misurare la loro attività cerebrale mediante risonanza magnetica funzionale o elettroencefalogramma mentre svolgono i test. Le informazioni e la cultura che otterremo potrebbero essere utili, per esempio, per sviluppare modelli predittivi nei vivai e nelle giovanili e aiutare le società a sfruttare al la parte migliore i propri giocatori e scegliere quelli su cui investire”.