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Caporalato, l’ombra della ‘ndrangheta sui migranti sfruttati in Calabria

Marzo 5, 2021
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AGI – Reggio Calabria, – C’è l’ombra della ‘ndrangheta dietro all’organizzazione smantellata dalla Polizia che stamane ha arrestato nove persone per gravi vicende di caporalato nella Piana di Gioia Tauro (RC).

Gli arresti sono stati eseguiti stamani dalla Polizia di Stato, coordinata dalla Procura della Repubblica di Palmi nel corso dell’operazione denominata “Rasoterra”.

Le accuse, a vario titolo, vanno dalla intermediazione illecita e dallo sfruttamento del lavoro in concorso al trasferimento fraudolento di valori in concorso. Le vittime erano migranti costretti a lavorare nei campi con paghe dimezzate rispetto a quelle contrattuali e per molte ore al giorno.

In carcere sono finiti Filippo Raso, 52enne di Taurianova, già detenuto per altra causa; Ibrahim Ngom detto Rasta, senegalese di 31 anni; Kader Karfo, detto Cafù, 42enne della Costa d’Avorio.

Ai domiciliari invece: Pasquale Raso, 20enne di Cinquefrondi; Mario Montarello, 56enne di Rizziconi; Giacomo Mamone, 35enne di Cinquefrondi, Francesco Calogero, 66enne di Rizziconi; Domenico Careri, 65enne di Rosarno; Vincenzo Straputicari, 41enne di Taurianova.

Nel corso dell’operazione è stata sequestrata una ditta individuale, attiva nel settore delle coltivazioni agrumicole, olivicole, di kiwi e ortaggi, intestata a Raffaella Raso e di fatto gestita dal padre Filippo. Quest’ultimo, considerato vicino ad ambienti mafiosi, è la figura principale delle indagini.

Un anno di indagini

 L’inchiesta è stata condotta dal commissariato di Gioia Tauro diretto dal primo dirigente Diego Trotta e dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria diretta dal primo dirigente Francesco Rattà, che, dal mese di giugno 2018 al mese di giugno 2019, sotto la direzione della Procura di Palmi, hanno fatto luce su alcune vicende di grave sfruttamento lavorativo nelle campagne di Gioia Tauro ai danni di numerosi migranti di origini subsahariana alloggiati nella baraccopoli di San Ferdinando, prima che venisse smantellata nelle giornate del 6 e 7 marzo 2019. 

Dall’inchiesta e’ emerso un quadro di condotte delittuose commesse da datori di lavoro, caporali e faccendieri, consistenti quasi sempre nel reclutamento, utilizzazione, assunzione e impiego dei lavoratori extracomunitari a basso costo, allo scopo di destinarli al lavoro nei campi in condizioni di sfruttamento, approfittando del loro stato di bisogno.

Gli inquirenti, grazie ai controlli svolti nelle aziende, al racconto dei lavoratori sfruttati e alle intercettazioni telefoniche, hanno scoperto un sistema organizzato di sfruttamento nel lavoro dei campi di numerosi immigrati africani che faceva capo principalmente a Filippo Raso, soggetto di elevata caratura criminale riconducibile alla vecchia alleanza di ‘ndrangheta Piromalli-Molè, nonché titolare di fatto dell’azienda agricola intestata alla figlia in cui lavoravano i migranti in condizioni di sfruttamento, che teneva continui contatti con i caporali e i faccendieri che operavano al suo servizio, impartendo loro direttive.

Filippo Raso è gravemente indiziato di essere stato a capo del sistema, imponendo comportamenti e fornendo direttive, minacciando e punendo chi non eseguiva i suoi ordini, ben sapendo di essere temuto ed ossequiato e di potersi avvalere di una strutturata rete di collaboratori per realizzare i suoi obiettivi. 

Raso risponde anche del delitto di intestazione fittizia di beni (in concorso con la figlia indagata a piede libero) perché dalle indagini è emerso che l’azienda agricola intestata a quest’ultima sarebbe stata creata per consentirgli di esercitare l’attività di impresa senza attribuirsi formalmente la titolarità della stessa.

Una titolarità che egli, condannato per associazione mafiosa, già sottoposto alla misura di prevenzione dell’obbligo di soggiorno del comune di residenza e destinatario della misura di prevenzione della confisca, non poteva intestarsi formalmente senza incorrere in un sequestro.

Anche due africani fra i caporali

Ibrahim Ngom, detto Rasta, era un caporale che gestiva per conto di Filippo Raso i lavoratori extracomunitari, si occupava di reclutare i braccianti africani e di controllarne il lavoro.

Kader Karfo detto Cafù era un altro fidato caporale di Raso al quale era demandato il pagamento delle giornate di lavoro dei singoli operai di colore, nonché il compito di guidare i furgoni a bordo dei quali venivano condotti i lavoratori nei campi.

Mario Montarello era un fedele faccendiere di Filippo Raso e svolgeva il ruolo di tenere i contatti con i caporali e controllare il lavoro degli extracomunitari.

Domenico Careri era un altro referente di Filippo Raso, per conto del quale reclutava manodopera, che talvolta provvedeva egli stesso a trasportare. Francesco Calogero, titolare di un’azienda agricola in stretto contatto con Filippo Raso, si occupava di veicolare le direttive di Raso e dell’impiego di extracomunitari in condizioni di sfruttamento. Pasquale Raso affiancava il padre Filippo nei rapporti con i caporali, sia da minorenne sia dopo aver raggiunto la maggiore età.

Oltre ad essere uno dei principali referenti del padre, dava direttive al caporale Rasta e pagava, a volte personalmente, i caporali e i lavoratori. Giacomo Mamone aveva il compito di fornire i mezzi per il trasporto dei lavoratori extracomunitari  e curava la raccolta dei frutti.

Vincenzo Straputicari, non collegato con Filippo Raso, era in contatto con Rasta che reclutava per suo conto lavoratori extracomunitari che lo stesso Straputicari impiegava nelle campagne della Piana di Gioia Tauro.

“Venivano reclutati – ha ricordato il dirigente della squadra mobile Francesco Rattà, nel corso della conferenza stampa tenuta on line alla presenza del Questore Bruno Megale – presso la baraccopoli, messi a disposizione di alcuni datori di lavoro e pagati a 25 euro al giorno”

“Un prezzo dimezzato rispetto alla paga sindacale, ovvero a 50 centesimi a cassetta di agrumi, per un numero di ore sicuramente maggiore rispetto a quanto previsto dal contratto di lavoro del settore, ma tutto questo avveniva attraverso l’elemento costante dello sfruttamento e dell’approfittamento dello stato di bisogno”.

Il dirigente del commissariato di Gioia Tauro, Diego Trotta, ha reso noto che nell’ambito delle attività esecutive condotte all’alba, nell’abitazione di uno degli arrestati è stata rinvenuta una “machine pistola artigianale monocolpo”, per cui si sta valutando l’arresto in flagranza, e a carico di altri due sono stati sequestrati piccoli quantitativi di sostanza stupefacente. 

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