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Home Arte e Spettacolo Cinema

C’era una volta a Singapore: storia del cinema malesiano

Maggio 9, 2025
in Cinema
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C’era una volta a Singapore: storia del cinema malesiano

A insaputa del mondo occidentale, il legame fra il cinema e la Malesia è molto stretto. L’amore per film arriva prima del paese stesso, visto che il primo cinematografo malese è stato costruito nel 1920 e lo stato della Malesia nel 1963. Fino agli anni ‘60, Singapore è stata la capitale del cinema asiatico, grazie all’aiuto degli Shaw Brothers, per poi sprofondare nella concorrenza fra case di produzione.

La nascita del cinema malese risale al 1933, si tratta di Laila Majnun dramma d’amore della cultura persiana. Girato e prodotto da cineasti indiani a Singapore, regia di  B.S. Rajhans e produzione di Motilal Chemical Company di Bombay. Il film fu un successo e gli Shaw Brothers, i cinesi Run Run e Runme Shaw, furono talmente colpiti da voler portare attrezzatura da Shangai per girare ulteriori pellicole, sfortunatamente conclusero solo cinque film a causa dell’Invasione Giapponese del 1941.

L’attività ricominciò in pieno alla fine della guerra, 1945, e nel 1947 distribuirono Singapura Di Waktu Malam ( Singapura di notte ) con la diva Siput Sarawak. Nello stesso anno fondarono la Malay Film production (MFP). Il cinema malesiano riscosse il suo maggiore successo grazie a P. Ramlee, attore noto per la sua versatilità. Abile nei ruoli drammatici e comici, attore, regista e ballerino. Celebre è il suo Chinta (1948), dove interpretava un naufrago assistito da un’isolana (sempre Siput Sarawak) con cui avrebbe intrapreso una storia d’amore.

I fratelli Shaw seguirono la linea di Bollywood per realizzare i loro maggiori successi, ospitando come S. Ramanathan , Shastri , Phani Majumdar e D. Ghoss. Negli anni ‘60 sarebbero espatriati per dare spazio agli artisti malesi. 

A partire dagli anni ’70, il cinema malese iniziò a perdere la centralità che aveva conquistato nei decenni precedenti. L’emigrazione dei registi e produttori stranieri, un tempo fondamentali per il sostegno tecnico e stilistico, lasciò un vuoto difficile da colmare. Molti studi, tra cui la Malay Film Production, ridussero drasticamente la produzione o chiusero definitivamente, incapaci di competere con l’ascesa della televisione e con la diffusione di film stranieri, che cominciarono a occupare le sale con una varietà e una qualità produttiva difficilmente eguagliabile.

Le rigide norme di censura introdotte negli anni successivi limitarono ulteriormente la libertà creativa degli artisti locali, scoraggiando la sperimentazione e impoverendo i contenuti. Allo stesso tempo, l’industria cinematografica divenne sempre più frammentata: mancavano strutture stabili, investimenti pubblici e privati, e una rete di distribuzione efficace. I film malesi, ormai pochi e poco promossi, non riuscivano più a coinvolgere il grande pubblico, che si orientava verso produzioni estere, soprattutto indiane e americane. Così, lentamente, quello che era stato un fiorente polo culturale si trasformò in un’eco del passato, sopravvivendo più come memoria collettiva che come realtà viva.

Nell’immaginario collettivo del dopoguerra vediamo famiglie statunitensi, o italiane, andare regolarmente al cinema come forma d’intrattenimento. Invece, in Malesia, era un vero e proprio privilegio. I biglietti del cinema venivano regalati in occasioni speciali, ad esempio per retribuire un figlio per i buoni risultati di un esame, e poi i ragazzi se ne vantavano con i propri amici. I cinema malesi erano divisi in prima, seconda e terza classe.

Quest’ultima aveva delle scomodissime sedie in legno, l’extra da pagare per accedere alla seconda e terza classe era accessibile a pochi. I più benestanti avevano la possibilità di assistere allo spettacolo sui balconi, proprio come in un teatro. Le sale erano caotiche: poltrone ammuffite, pareti umide, semi di kuaci sparsi ovunque. Sì, in Malesia si mangiavano semi di girasole arrostiti durante la visione ,invece che i tradizionali popcorns. La gente era agitata, calciava gli schienali, bisbigliava in sala e fremeva dall’eccitazione. Tuttavia, faticosamente incominciava la proiezione, tutto taceva. Andare al cinema era considerata un’esperienza emozionante, non un modo per scacciare la noia.

Le riviste cinematografiche avevano poco seguito, l’analfabetizzazione era alta, la divulgazione delle pellicole in uscita veniva comunicata in canali televisivi appositi. Gran parte delle famiglie ascoltavano gli annunci in radio, anche la televisione era un privilegio. I malesiani facevano avanti e indietro per i cinema per guardare le nuove locandine, prediligevano i film del divo P. Ramlee ed erano rarissimi quelli americani.

Questo ci porta a riflettere sull’universalità del cinema e alla sua mancanza di barriere culturali. Da Los Angeles a Singapore, tutti quanti non resistono al fascino del grande schermo da più di cento anni.



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di Maria Cilli
www.2duerighe.com
2025-05-09 14:29:00 ,

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