Chi è Karsten Warholm, il ‘vichingo dell’atletica’

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AGI – “Folle”: non ci sono altri aggettivi per definire l’impresa, che è già leggenda, compiuta da Karsten Warholm nella finale dei 400 ostacoli alle Olimpiadi di Tokyo. E’ lui stesso a definire “una cosa folle” il suo crono: 45”94. L’ostacolista norvegese di 25 anni, dopo essere stato il primo della storia a scendere sotto i 47 secondi (46”70), il primo giugno scorso allo stadio Bislett della sua Oslo dove vive da alcuni anni, adesso è addirittura sceso sotto il muro dei 46 che solo fino a pochi anni fa sembra impossibile.

E invece, un ragazzone cresciuto a Ulsteinvik, cittadina che sorge su un’isola nel sud della Norvegia che si raggiunge solo con battelli o tunnel stradali sotterranei e dove ha iniziato a praticare l’atletica all’età di otto anni, è riuscito a centrare questa impresa che lo proietta già verso il mito. Fidanzato con la graziosa Oda Djupvik, Karsten, classico nome che riconduce ai vichinghi, partecipa dal 2017 nelle gare di Diamond League, imbattuto. Solo cinque anni fa a Rio de Janiero non era riuscito ad entrare tra gli otto finalisti.

A Warholm non importa se la finale dei Giochi di Tokyo è al mattino sotto la canicola e con un elevato tasso di umidità. Parte fortissimo. Il superando dell’ostacolo sembra quasi impercettibile, la sua corsa non si scompone. In finale si presenta come sempre davanti sul rettilineo finale e, da vero fuoriclasse, risponde immediatamente all’attacco dell’americano Rai Benjamin, alla fine secondo in 46”17 e anche lui sotto il precedente limite mondiale ma comunque ‘solo’ al record continentale.

“Quella che ho fatto è una cosa folle, è di gran lunga il momento più importante della mia vita, mi sono allenato come un maniaco. Ho fatto fatica ad addormentarmi, avevo una sensazione speciale dentro di me, come quella che si prova a sei anni la vigilia di Natale – ha detto Warholm –. Ero concentrato per ottenere l’ultima medaglia della mia collezione che mi mancava, ora è completa. Mi darò nuovi obiettivi ma non è finita”.

In poco più di un secolo – era il 22 luglio del 1908 quando a Londra l’americano Charles Bacon fermò i cronometri allora manuali in 55”0 – il primato del mondo dei 400 ostacoli è sceso di quasi dieci secondi. Nel 1962 primatista di questa gara era stato anche l’italiano Salvatore Morale ma il suo 49”2 corso a Belgrado era ex aequo con il tempo fatto segnare quattro anni prima dall’americano Glenn Davis. Il lungo regno anglo-americano durò fino al 2 settembre del 1972 quando l’ugandese John Akii-Bua stampò un già incredibile 47”82.

Dal 1976 al 1992 i 400 ostacoli tornarono terra di conquista e primati degli Stati Uniti, prima con il leggendario Edwin Moses che mai riuscì a scendere sotto i 47 secondi (47”02 il 31 agosto 1983 a Coblenza). Per vedere il primo under 46” si è dovuto attendere il 6 agosto del 1992, finale olimpica di Barcellona quando Kevin Young corse in 46”78. Un primato che ha resistito quasi 30 anni, fino al primo giugno scorso quando Warholm lo migliorò di otto centesimi. Oggi l’entrata in orbita.

L’ostacolista scandinavo è destinato a essere l’uomo simbolo di queste Olimpiadi, e non solo nell’atletica leggera: Warholm corre già verso il mito. La federazione mondiale di atletica leggera, World Athletics, l’ha già definita “una delle più grandi gare della storia dell’atletica leggera”.



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