L’Africa torna prepotentemente al centro delle prospettive di Pechino a cavallo del nuovo millennio. Quando l’occidente isola la Cina, questa cerca proiezione nelle regioni in via di sviluppo a partire dall’Africa. Succede per la prima volta dopo Tian’anmen: nel 1992, scrive Colarizi, “l’allora ministro degli Esteri Qian Qichen visitò 14 paesi africani, inaugurando una pratica ancora in voga. Quella che pare sia stata dapprincipio un’iniziativa personale è diventata una regola non scritta per la quale tutt’ora il capo della diplomazia cinese compie la prima trasferta estera dell’anno proprio nel continente africano”. Ancora di più questa tendenza si è accentuata dopo la crisi finanziaria del 2008 e il lancio della Belt and Road Initiative.
Il dominio su infrastrutture e trasporti
Il focus principale, in un continente dove molti paesi non hanno sbocco sul mare, è quello su infrastrutture e trasporti. Stando ai dati rilasciati dal ministero degli Esteri cinese nel novembre 2021, la Cina ha costruito in Africa più di 10.000 chilometri di ferrovie e autostrade, quasi 100 porti e 1000 ponti, più di 80 centrali elettriche su larga scala, oltre 130 strutture mediche, 45 stadi e 170 scuole. “La Cina ha raggiunto la quota del 19,6% di tutti i finanziamenti nelle infrastrutture, piazzandosi solo dopo gli stessi governi africani e con largo distacco da qualsiasi altro partner bilaterale. Dove finiscono esattamente i capitali cinesi? Sinora hanno beneficiato nell’ordine: trasporti (52,8%), comparto energetico (17,6%), settore immobiliare industriale, commerciale e residenziale (14,3%) e mining (7,7%)”. Spesso questi investimenti hanno portato grandi vantaggi dal punto di vista occupazionale e, appunto, infrastrutturale. Ma anche conseguenze dal punto di vista economico. “In meno di dieci anni, il debito di Nairobi nei confronti di Pechino è più che triplicato, arrivando a contare quasi il 70% del totale delle passività accumulate. Ferrovie, strade, ponti hanno fatto salire il conto a 6,9 miliardi di dollari nell’aprile 2021. È il prezzo da pagare per la Nuova Via della Seta”, scrive Colarizi.
Ma la proiezione di Pechino va oltre le infrastrutture e investe in pieno la dimensione tecnologica. Lo Zimbabwe ha adottato il riconoscimento facciale di CloudWalk Technology, altri paesi quello di Hikvision. Le aziende cinesi lavorano ai cavi sottomarini per la connessione internet, mentre nel 2020 la sottomarca Tecno per la prima volta ha superato Samsung diventando il brand di cellulari più venduto in Africa. Nella primavera del 2021 Didi Chuxing ha fatto il suo ingresso nel continente con l’inaugurazione del primo servizio di ride-hailing a Cape Town. In cambio la Cina riceve accesso preferenziale alle risorse minerali e alle terre rare, cruciali per la guerra fredda tecnologica. La Repubblica Democratica del Congo ha il 54% delle risorse globali di cobalto, fondamentale per lo sviluppo delle auto elettriche: nel 2018 la Cina ne ha importato per 1,2 miliardi di dollari. Alle sue spalle l’India con 3,2 milioni.
La dimensione politica della strategia cinese in Africa
Non manca però anche l’aspetto politico. La Cina ha finanziato la costruzione di tanti edifici simbolo del potere continentale. Come si legge in Africa Rossa, “secondo stime prudenti, almeno 40 dei 55 paesi africani hanno edifici governativi di fattura cinese per un totale di 186 costruzioni: un centro conferenze in Zambia, la sede del Ministero degli Esteri in Kenya, l’edificio che ospita il parlamento dello Zimbabwe, il Centro africano per la prevenzione e la cura delle malattie in Etiopia”. La Cina di Xi Jinping non nasconde più il suo orgoglio per un modello politico-sociale “con caratteristiche cinesi” che ora prova anche a insegnare alle controparti africane. Dal 2011 al 2017 Pechino ha offerto almeno 4.100 borse di studio per studenti e funzionari sudsudanesi, per dirne una. Ma gli scambi di questo tipo sono stati numerosi con tutto il continente. Strategicamente, a Gibuti è stata invece aperta la prima base militare all’estero dell’Esercito popolare di liberazione, in corrispondenza dello stretto di Bab el-Mandeb che porta a Suez e al Mediterraneo. Mossa che consente alla Cina di posizionarsi in uno snodo importante ma anche di mostrarsi come potenza responsabile partecipando a diverse operazioni antipirateria.
I vantaggi della cooperazione con l’Africa sono chiari dal punto di vista economico e digitale. Su Africa Rossa, si legge come secondo il rapporto e-Conomy Africa 2020, firmato dall’International Finance Corporation e da Google, “il valore dell’economia di internet in Africa potrebbe raggiungere i 180 miliardi di dollari entro il 2025, pari al 5,2% del Pil del continente, per poi salire a 712 miliardi di dollari, l’8,5% del Pil complessivo, prima del 2050”. Pechino, come detto, ottiene una via privilegiata per accedere a risorse naturali chiave. Ma l’aspetto economico si intreccia anche con quello politico: l’Africa è destinata a crescere e la Cina può aiutarla a farlo e a ripetere i “miracoli” di cui si è resa protagonista all’interno. “All’apparenza, non si tratterebbe più quindi solo di esportare modelli urbani, piani industriali e tecniche agricole, bensì di trasferire tutta l’impalcatura ideologica che ha permesso al gigante asiatico di crescere tanto rapidamente”, scrive Colarizi. Più Pechino entra in rotta di collisione con Washington e più il messaggio acquisisce un afflato retorico del modello alternativo di sviluppo. Un terzomondismo più pragmatico e multiforme.
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di Lorenzo Lamperti www.wired.it 2022-11-28 06:00:00 ,