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Sembrava una parola tabù. Dimenticata e sotterrata nelle dichiarazioni furibonde dei belligeranti. Raramente, negli ultimi mesi, Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky avevano parlato di pace. Qualcosa si muove, invece. In Svizzera, sulle sponde del lago dei Quattro cantoni, quasi cento tra capi di Stato e di governo mondiali si riuniranno oggi e domani per la “conferenza sulla pace” in Ucraina. A Mosca, il presidente russo rilancia una «vera proposta di pace». È una svolta? Solo retorica, forse. Perché la pace sembra un miraggio, vista da Lucerna, dove sono attesi i grandi del mondo, anche la premier italiana Giorgia Meloni. Manca la Cina al summit, manca soprattutto la Russia: che pace può esserci, se l’aggressore neanche si siede al tavolo? Quella di Putin, poi, non è una proposta di tregua, ma “un ricatto”, tuonano in coro i leader occidentali. Di fatto una resa incondizionata della resistenza ucraina, a cui lo zar chiede di battere in ritirata. Proprio ora che uno spiraglio si apre, con i 50 miliardi di dollari in asset russi congelati dal G7. Avvolta dalla nebbia della propaganda e delle minacce, però, non si può non scorgere una fase nuova. Mentre l’estate e il fango ucraino rischiano di impantanare di nuovo le azioni sul campo di Kiev e Mosca, si torna a parlare di negoziati. Troppo poco per intravedere uno stop allo stillicidio nelle trincee, abbastanza per mettere in moto la diplomazia. Il tempo dirà.
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www.ilmessaggero.it
2024-06-16 10:06:43 ,