di Gianluca Dotti
Stando a quanto emerso dallo studio, le autorità svedesi avrebbero comunque potuto fare di più e risparmiare delle vite (in tutto i decessi nel paese ammontano ora a 18.500, e con la strategia norvegese si sarebbero potuti magari fermare a 4mila), ma forse additare la Svezia come la pecora nera d’Europa suona un po’ esagerato sia guardando ai numeri assoluti, sia a quelli relativi e alle varie graduatorie.
Rapporto tra scienza e società, questo sconosciuto
Molte delle discussioni accese da pubblicazioni come quella sulla Svezia sembrano dimenticare del tutto o relegare a un ruolo marginale una questione che è invece essenziale: il legame strettissimo tra un popolo e le regole scientifiche a cui si appoggia. Gli autori della ricerca hanno per esempio scritto che in Svezia “la metodologia scientifica non è stata seguita” e che nel paese “il metodo scientifico deve essere ristabilito”. Se il riferimento è ad alcune infelici uscite delle autorità nazionali sui media e nei documenti ufficiali relative all’immunità di gregge o al fatto che “solo gli stranieri” si ammalassero, effettivamente non si può dare torto a chi ha scritto la ricerca. Ma se ci si riferisce a questioni di procedure, come per esempio allo stabilire chi trattare in modo intensivo e chi accompagnare con sole cure palliative, oppure definire il livello di restrizioni da imporre nei luoghi pubblici, la questione è molto più sfumata. E assai meno scientifica.
Come è capitato più volte di scrivere qui su Wired, a livello strettamente scientifico per ottenere il massimo contenimento del virus sarebbe stato necessario imporre le massime misure di precauzione: chiudere tutte le attività pubbliche, evitare qualunque contatto interpersonale, fare indossare al personale indispensabile il massimo dei dispositivi di protezione possibili, e così via. Qualunque tipo di contatto e attività consentita, in altri termini, sarebbe stato di per sé un andare contro la scienza se l’obiettivo era unicamente di fermare la circolazione del virus.
Dato che ovviamente uno stop completo generalizzato era impossibile, ciascun paese ha fatto le proprie scelte adottando una serie di misure di contenimento più o meno rigide, spesso di compromesso. Diventa difficile, a questo punto, definire che cosa sia “scientifico” e che cosa “non scientifico” nel tarare il livello di rigore dei provvedimenti anti-contagio. O perlomeno potrebbe essere scientifico fare una valutazione a posteriori, stabilendo che cosa è andato bene e che cosa meno in ottica di eventuali future emergenze pandemiche, ma accusare la Svezia di anti-scientificità a posteriori suona un po’ come una stonatura. Seguendo lo stesso criterio, andrebbe allora accusato di anti-scientificità anche chi, pur imponendo misure ancora più rigide che in Italia, non ha ottenuto migliori risultati in termini di salute pubblica.
A questo si potrebbe aggiungere, spostando il fuoco dalla sola scienza agli aspetti etici e culturali, che questioni come il valore della socialità e della famiglia, il culto e la protezione degli anziani, gli equilibri inter-generazionali, la predisposizione di un popolo al rispetto di norme imposte e il valore dato alla stabilità economica rispetto alla tutela della vita possono avere differenze significative da paese a paese, facendo a volte risultare le scelte di uno stato incomprensibili ai cittadini di un altro. Portando questo principio all’estremo, non è affatto detto che la conta dei decessi delle persone anziane per Covid-19 sia un parametro a cui viene attribuita ovunque la medesima rilevanza. Inaccettabile in tutti gli stati democratici è invece che le autorità insabbino, manomettano oppure omettano atti pubblici che documentano colpevoli negligenze: e lo studio sulla Svezia parrebbe avere raccolto prove pure in questo senso.
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www.wired.it
2022-04-13 13:48:43