Covid-19, un nuovo studio sostiene che l’inquinamento aumenta il rischio anche nei giovani

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Sapevamo già che l’inquinamento dell’aria può renderci più vulnerabili al rischio di infezioni respiratorie. Oggi abbiamo una prova che questo risultato potrebbe valere anche per Covid-19. Uno studio condotto dal Karolinska institute, vicino a Stoccolma, infatti, mette in luce l’associazione fra una maggiore esposizione a certi inquinanti legati al traffico e una maggiore probabilità di risultare positivi al coronavirus Sars-Cov-2, nei giovani adulti svedesi. La ricerca è pubblicata su Jama Network Open.

Lo studio

I ricercatori si sono basati su un vasto progetto di ricerca svedese, chiamato Bamse, che indaga la salute di oltre 4mila cittadini svedesi dalla nascita all’età adulta. Collegando i dati con quelli dei registri nazionali sui contagi da Sars-Cov-2, gli autori hanno individuato 425 persone, di entrambi i sessi e di età media pari a 26 anni, che hanno contratto Covid-19 da marzo 2020 a marzo 2021.

Una volta rintracciati i casi, gli scienziati hanno messo in relazione i dati dell’inquinamento atmosferico presso la località di residenza fornita dai partecipanti, nei giorni immediatamente precedenti e successivi al test poi risultato positivo, nonché in quella stessa giornata.

Le sostanze considerate sono il particolato atmosferico, piccole particelle di varia natura sospese in aria, anche dette polveri sottili, di dimensioni inferiori a 10 micrometri (millesimi di millimetro), nel caso del PM10, o a 2,5 micrometri (PM2,5). Oltre a queste, si è tenuto conto del particolato carbonioso (o nero di carbonio), utilizzato dall’industria dei pneumatici, e del biossido di azoto (NO2), un gas prodotto per lo più dai motori dei veicoli. Come avviene tradizionalmente, la concentrazione degli inquinanti aerei è stata stimata tramite modelli matematici detti di dispersione.

Il probabile legame

L’associazione – anche se statistica, e non causale – c’è. In particolare **esiste un collegamento con l’esposizione al PM10 e al PM2,5 **nei 2 giorni precedenti il tampone e l’esposizione al nero di carbonio nel giorno precedente. Non risulta invece alcun legame con i livelli di biossido di azoto. Al crescere della concentrazione di particelle e polveri, l’aumento del rischio di Covid risulta pari al 7%. Si tratta di una percentuale che non sembra molto elevata, come commenta Erik Melén, docente di pediatria al Karolinska institute e a capo del progetto Bamse. “Ma dato che ognuno di noi è più o meno esposto agli inquinanti atmosferici – precisa l’esperto – questa associazione può assumere un ruolo rilevante nell’ambito della salute pubblica”. Se in media per il singolo la crescita del rischio sembra abbastanza contenuta, facendo una proiezione e riportando i numeri alla collettività non saremmo più in presenza di cifre basse (sempre se il risultato sarà confermato).



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di Viola Rita www.wired.it 2022-04-20 15:00:00 ,

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