Il “collasso della pila 9 del viadotto Polcevera” sarebbe stato innescato da un “difetto costruttivo”, che “ha portato a un severo degrado” dei cavi di metallo che formavano gli stralli, i tiranti diagonali che reggevano la struttura. Questo “difetto” sarebbe “figlio di una serie di errori, noti ai costruttori all’epoca della realizzazione” e avrebbe minato non tanto la “resistenza del ponte”, quanto la sua “durabilità”. Secondo questa ricostruzione i gestori dell ’opera, Autostrade per l’Italia e Spea, non solo “non avevano contezza” dell ’anomalia, ma non potevano sapere che la corrosione procedeva in modo “atipico”, accelerato e dunque imprevedibile.
In questa consulenza di 645 pagine – firmata da un pool coordinato dai professori Alberto Meda e Giovanni Ferro e appena depositata nel corso del processo per la strage del Ponte Morandi – è riassunta l’ultima e più perfezionata versione della principale strategia difensiva: il cosiddetto “vizio occulto” si legge sul ‘Fatto Quotidiano’. Una tesi per cui all’origine del disastro non ci sarebbero scarsa manutenzione e assenza totale di controlli (che è quanto sostiene la Procura), ma un difetto sconosciuto alla concessionaria Aspi e alla sua controllata Spea, cui erano affidati i monitoraggi. Di più, quel “vi zio” sarebbe stato dolosamente “occultato”: della sua presenza – scrivono i consulenti – “non è stata lasciata alcuna traccia nella documentazione successiva, che, al contrario, confermava la correttezza dell’opera”.
Da chi? In modo nemmeno troppo indiretto gli autori dello studio tirano in ballo proprio il progettista Riccardo Morandi, nume tutelare dell ’ingegneria italiana del 900. “Si ritiene che i difetti costruttivi fossero pacificamente rilevabili – scrivono i consulenti – e probabilmente atutti noti durante la costruzione (…) erano stati pure rilevati e atti di emenda erano stati in qualche modo tentati”.
[email protected] (Web Info) 2024-04-03 10:49:36
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