Da Lockheed a Raytheon, balzo a Wall Street dei produttori Usa di armi

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Poche ore in Ucraina contano come un mese e più in Afghanistan. Il raffronto, che circola tra esperti, riguarda un aspetto specifico della guerra che infuria in Europa mentre le strade della diplomazia restano gelate: lo straordinario uso e consumo di armi e soprattutto munizioni, di vario genere e calibro.

Fotografia di un conflitto che sta mettendo sotto pressione non solo la Nato ma la stessa “macchina” militare della superpotenza americana, il Pentagono e l’industria della difesa. Proiettati su tecnologie del futuro, sono ora coinvolti nel sostegno a protratte battaglie tradizionali, offensive e controffensive di terra con intenso ricorso ad artiglieria e armi leggere, veicoli corazzati e sistemi anti-carro e antiaerei. Capaci di svuotare arsenali esistenti senza che sia semplice ricostituirli, al cospetto di produzioni dismesse o tagliate, munizioni ridotte da strategie on-demand, difficoltà di reperire personale e componenti per un ristoccaggio dei depositi.

Le armi all’Ucraina

Gli Stati maggiori americani assicurano che l’invio di armi all’Ucraina avviene strettamente senza degradare le capacità delle proprie forze, facendo ricorso a scorte in eccesso. Ma gli interrogativi si moltiplicano tra stanziamenti ormai stimati in 20 miliardi e avviati a superare i 40 solo per Washington. Un rapido inventario: gli Usa ad oggi hanno spedito, tra l’altro, 924.000 ordigni di artiglieria per howitzer da 155 mm, più di 8.500 missili anti-carro Javelin e 1.600 ordigni anti-aerei portatili Stinger (un quarto delle riserve), centinaia di veicoli e droni, 38 sistemi lanciarazzi mobili Himars. Con le forze armate Usa che hanno spesso tuttora in dotazione gli stessi armamenti, per preparativi e esercitazioni.

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Scorte sotto pressione

“È indubbio” che sia le scorte che la base industriale siano finite sotto pressione, ha ammesso il sottosegretario del Pentagono Colin Kahl. «Assistiamo al primo esempio da decenni di un conflitto convenzionale a davvero alta intensità». Un conflitto che ha evidenziato, nel giudizio di analisti quali Ryan Bronbst della Foundation for the Defense of Democracies, come in particolare la produzione di munizioni negli Usa e tra gli alleati sia probabilmente inadeguata a grandi guerre di terra. Con rischiose conseguenze: come verrebbe affrontato l’eventuale scoppio di un secondo conflitto? «Cosa accadrebbe nel Comando dell’Indo-Pacifico?», si è chiesto pubblicamente Bill LaPlante, responsabile del Pentagono per gli acquisti di armi.

Gli esempi concreti di pressione sugli arsenali non mancano. Nel Donbass in estate gli ucraini hanno sparato circa settemila proiettili di artiglieria al giorno; gli Stati Uniti finora ne producono 15.000 al mese. Particolarmente inquietante appare il calo in tradizionali proiettili di artiglieria da 155 mm, ma anche in razzi guidati, lanciarazzi, missili Javelin e Stinger. Dal Pentagono sono anche arrivate raccomandazioni a Kiev di non usare sistemi ultra-costosi e sofisticati per abbattere droni di Mosca a basso costo.



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