«Stiamo considerando tutte le possibilità». Impegnato nel consiglio dei ministri e nella conferenza stampa su un Def percorso dalle richieste dei partiti di uno scostamento respinto dal governo, il presidente del Consiglio Mario Draghi segue con un occhio le traversie contemporanee della delega fiscale. Dove lo stop di Lega e Forza Italia ufficializza la spaccatura nella maggioranza. E non chiude all’ipotesi di un voto di fiducia che rimescolerebbe definitivamente le carte parlamentari del suo governo. «La posizione della Lega era prevista», ha aggiunto Draghi, «quindi andremo avanti. C’è stato un voto in commissione, è stato vinto dal governo due volte. Speriamo di vincere di nuovo».
Centrodestra con diverse «sfumature»
Dopo settimane di trattative che non sono riuscite a decollare davvero, mercoledì lo stop è arrivato da tutto il centrodestra, ma con sfumature diverse. «Al momento non ci sono le condizioni per approvare la delega», dettano i deputati Massimo Bitonci e Alberto Gusmeroli in una nota concordata con Matteo Salvini. A Forza Italia il clima è simile, ma la porta resta socchiusa: «Il governo non impedisca il confronto chiedendo la fiducia», rimarcano fonti azzurre che pretendono «garanzie per escludere anche in futuro» aumenti di tasse. «Lega e Fi vogliono negare gli impegni presi per non compromettere la narrazione fiabesca con cui si presenteranno agli elettori», ribattono dal M5s Vita Martinciglio e Giovanni Currò. «Ritirare ora l’appoggio a un testo discusso così a lungo con il governo sarebbe molto grave». Dopo un anno e mezzo di lavoro parlamentare «e diversi mesi sulla delega, siamo alle ore decisive», riassume il presidente della commissione Finanze Luigi Marattin (Iv), relatore del provvedimento. «Ogni partito di maggioranza dovrà decidere se la riforma fiscale deve rimanere solo sui manifesti elettorali, o può concretizzarsi nei provvedimenti di Governo».
I due nodi da sciogliere
La maionese della maggioranza è impazzita mercoledì pomeriggio, poche ore prima della ripresa serale della discussione in commissione Finanze alla Camera, ma il problema stava montando da giorni. Intorno a due questioni in particolare: il percorso verso il sistema «duale», che dividerebbe i redditi da lavoro e pensione ad aliquota progressiva dagli altri a tassazione proporzionale con due aliquote, e la richiesta di rendere vincolanti i pareri delle commissioni sui decreti attuativi, motivato da Lega e Fi con l’esigenza di evitare che «manine tecniche» infilino aumenti di tasse fra le pieghe dei commi. Il primo rappresenta uno dei passaggi con maggiore ambizione di sistema nella delega; il secondo è una richiesta del centrodestra respinta da governo e relatore.
Quando il dettaglio tecnico diventa «politico»
Ma con il passare delle settimane gli snodi tecnici si sono colorati sempre più di significati politici, destinati ad accentuarsi ulteriormente ogni giorno che avvicina la legislatura alla fine e i partiti alle elezioni. La scottatura sul Catasto, con il doppio voto finito 23 a 22 per il governo, come ricordato da Draghi, è ancora fresca. E Lega e Fi tornano sulla questione politicamente esplosiva delle tasse sul mattone anche per quel che riguarda il sistema duale. Il duale vero e proprio prevederebbe un’aliquota unica per tutto ciò che è fuori dall’Irpef progressiva. Il testo rielaborato al Mef prevede un passaggio intermedio, transitorio, a due aliquote: in cui però dovrebbero trovare spazio le cedolari sugli affitti (21 e 10% oggi), oltre ai titoli di Stato (12,5%) e alle altre rendite finanziarie (al 26%).
Verso l’unità del centrodestra (classico)
Nel frattempo, nei primi voti di mercoledì sera è partito il Vietnam parlamentare che ha archiviato l’ipotesi di accontonare i correttivi. Lega, Fi e Fdi si sono visti respingere (anche con un 23 a 23) le proposte di abolire la trasformazione in sovraimposte delle attuali addizionali Irpef e di passare da addizionali a compartecipazioni. Sul Fisco si sta ricostruendo insomma l’unità del centro-destra classico. Contro il governo.