Diciamolo chiaramente fin da subito: chi vi scrive aveva i suoi dubbi riguardo questo film.
Certo, la combinazione dei talenti di Sam Raimi, Benedict Cumberbatch ed Elizabeth Olsen avrebbe dovuto far ben sperare sin dall’inizio, ma le insidie di una tematica complessa come quella delle realtà alternative possono compromettere facilmente la riuscita di un film (e le voragini nella trama di Spiderman: No Way Home ne sono la prova), perciò il principale timore di chi vi scrive, era di ritrovarsi di fronte ad un’orgia di CGI e scene d’azione psichedeliche senza una vera e propria trama.
A tutto ciò si aggiungevano le parole della Marvel stessa, che preannunciavano al pubblico un cinecomic dai toni dark ai limiti dell’horror, una promessa che, fatta da un brand noto per realizzare principalmente film pensati per tutta la famiglia, suonava tragicamente simile ad un remake di Romanzo Criminale realizzato da Federico Moccia.

E invece no.
Doctor Strange nel Multiverso della Follia ha ampiamente superato le più rosee aspettative di chi vi scrive, rivelandosi forse come il miglior film della Fase 4 del Marvel Cinematic Universe puntando su due elementi piacevolmente inattesi: un racconto molto più semplice (ma non per questo banale) rispetto a quanto la campagna marketing lasciasse intendere, e un sapiente sviluppo dei personaggi.
Se volete saperne di più, seguiteci in questo viaggio attraverso un multiverso di pareri, critiche e considerazioni sul ritorno di Sam Raimi alla regia di un cinecomic Marvel.
Viaggio al centro di Strange
A dirla tutta però i segnali positivi per la buona riuscita di questo film c’erano tutti. E no, non ci stiamo riferendo solo all’ottimo cast, al riconoscibilissimo regista o all’affermato franchise di cui fa parte. Ci stiamo riferendo proprio a quell’elemento che dovrebbe essere maggiormente disprezzato da qualunque spettatore che si rispetti: i leak e gli spoilers.
Pensiamo ancora a Spider-man: No Way Home: siamo entrati in sala sapendo già praticamente tutto, dai grandi ritorni alle decessi importanti, e questo perché nei mesi precedenti i nostri amati e odiati insider (ormai parte integrante del mondo dei blockbuster tanto quanto gli stessi addetti ai lavori) avevano spiattellato praticamente tutta la trama sul web.
Col Multiverso della Follia però è andata diversamente: se da un lato siamo stati letteralmente bombardati di notizie una più esagerata dell’altra sui personaggi che sarebbero stati coinvolti in questo film con l’espediente del multiverso (soltanto alcune delle quali si sono poi rivelate vere), dall’altro lato sulla trama non era emerso quasi nulla.

Questo poteva significare due cose: o che la trama fosse così pietosa da non essere degna nemmeno di essere spoilerata, o che finalmente avremmo potuto goderci un film senza sapere nulla in anticipo.
Fortunatamente per tutti noi, si è avverata la seconda ipotesi.
Lo vogliamo infatti dire fin da subito: potete guardare il film tranquilli e potete addirittura aspettarvi di essere sorpresi, perché tra tutti i leak nessuno, o quasi, ha effettivamente anticipato le svolte più importanti del racconto.
Ma tra tutte le sorprese, quella più gradita e inaspettata è stato il tipo di storia che ci è stata raccontata: non una mastodontica epopea cosmica stracolma di camei dietro ai quali nascondere la piattezza della vicenda, bensì un racconto inaspettatamente lineare, che nonostante si sviluppi in più universi (a dire il vero meno di quelli che ci saremmo aspettati) risulta piacevolmente intimista e circoscritto ai suoi tre protagonisti: Doctor Strange/ Stephen Strange, Scarlet Witch/Wanda Maximoff e America Chavez.
Partiamo proprio da colui che dà il titolo al lungometraggio. Già, perché prima ancora che essere un film sul multiverso, questo è un film sul Dottor Strange, e se mesi di speculazioni, teorie e smentite sulla vastità di questo racconto ve lo avessero fatto dimenticare, a ricordarvelo ci penseranno Sam Raimi tramite un racconto fortemente introspettivo, e Benedict Cumberbatch tramite una performance (o come sarebbe più giusto dire, delle performance) estremamente sfaccettata: oltre che per raccontare una storia inedita per il franchise, il tema del multiverso è utilizzato anche e soprattutto per sviluppare il personaggio stesso di Strange, che nell’incontrare le sue varianti viene costretto ad affrontare le sue emozioni, le sue fragilità e le sue paure.

Leggermente meno riuscito è invece il personaggio di Scarlet Witch: l’inedito ruolo della cattiva calza a pennello su una Elizabeth Olsen in stato di grazia, la quale riesce a passare da adorabile a terrificante, da dolcissima a sadica, da materna a demoniaca, con una naturalezza disarmante, ma il suo arco narrativo risulta quasi una versione “estremizzata” di quello da lei già attraversato in WandaVision, motivo per cui il personaggio sembra quasi regredito rispetto a come lo abbiamo visto l’ultima volta.
Tra l’altro se non avete recuperato WandaVision vi invitiamo a farlo, poiché letteralmente propedeutica per la comprensione di questo film, la cui storia parte in quarta senza stare a preoccuparsi troppo di spiegarvi perché certi personaggi fanno certe cose.
Infine America Chavez. Lei è la vera sorpresa del film.
Chi si aspetta la classica giovane spalla irritante rischia di uscirne frastornato: lei e le sue capacità sono letteralmente al centro della narrazione (sebbene la loro natura non venga ben approfondita), e le sue interazioni con Strange risultano irresistibili grazie al fatto di essere sostanzialmente l’una il contrario dell’altro.
E in tutto questo i camei. Come già accennato, essi sono solo un corollario di una storia molto più “ristretta”, ma sono perfettamente integrati con la trama e funzionano alla perfezione all’interno del minutaggio loro concesso.
Inoltre se alcuni di loro potevano essere prevedibili (quando non già confermati ufficialmente dalla campagna marketing), altri potrebbero seriamente farvi cadere la mascella, e se, come spera chi vi scrive, essi anticipano il futuro del MCU, allora possiamo tirare un sospiro di sollievo per il destino del franchise.
Raimi, droga e rock’n’roll
Diciamoci la verità però: il vero motivo per cui vale la pena guardare questo film in sala è per la regia.
Tra dissolvenze incrociate, giravolte della macchina da presa, uso delle transizioni e addirittura qualche sguardo in macchina questo film trasuda letteralmente samraimitudine da tutti i pixels.
E rimanendo sempre in tema di stile visivo, Doctor Strange nel Multiverso della Follia punta così tanto su di un’estetica riconducibile a quella dei fumetti da far sembrare il già estremamente psichedelico primo film diretto da Scott Derrickson quasi ancorato alla realtà: mentre colori e luci abbaglianti riempiono lo schermo, il regista sfrutta il potenziale visivo delle capacità del Dottor Strange per dare sfogo a tutta la sua fantasia, mentre le scene d’azione di Scarlet Witch vengono caricate di una brutalità tremendamente verosimile date le sue abilità micidiali, quasi cavalcando l’onda di serie come The Boys e Invincible, che di tale brutalità e tale verisimiglianza hanno fatto il loro marchio di fabbrica.

Già, ma è anche il comparto audio ad essere estremamente d’impatto, non solo l’aspetto visivo: Danny Elfman si è letteralmente scatenato con una colonna sonora memorabile, anche grazie ad inserti elettronici che, accompagnati alle psichedeliche immagini del film, danno al tutto un sapore squisitamente anni ‘70, e alla geniale intuizione di Raimi di non farne un mero accompagnamento per le immagini, e di dare loro un ruolo attivo all’interno di certe scene ben specifiche.
Insomma, lo stile di Raimi si vede e funziona soprattutto in relazione al personaggio di Strange: tramite al suo stile piacevolmente sopra le righe, il regista riesce a definire un mondo così assurdo e grottesco che l’apparizione di un minotauro parlante, un mostro tentacolare con un occhio solo o un demone fatto di bende non suscitano la minima perplessità nello spettatore, mentre i lettori affezionati possono riscontrare le stesse assurde atmosfere del fumetto originale, grazie anche ad azzecatissime citazioni non solo alle storie più rappresentative del dottore, ma anche a storie come “Le Notti di Wundagore”, “Vendicatori Divisi” o la run di Jonathan Hickman dedicata agli Avengers.

Non aspettatevi però un’opera priva di difetti: alcune sottotrame sono gestite in maniera approssimativa, altre occupano una porzione non indifferente della narrazione per poi essere messe da parte senza tanti complimenti, e il finale risulta essere troppo frettoloso, chiudendo il tutto in maniera sbrigativa per poi sorprendere lo spettatore con il classico colpo di scena facile che però anziché lasciarlo con la voglia di vedere il seguito, si limita a causare in lui smarrimento e confusione.
Su questi ultimi aspetti del film hanno senza dubbio pesato la pandemia, i continui rinvii e il coinvolgimento del personaggio di Strange nelle vicende di Spider-man: No Way Home, tanto che lo stesso Raimi ha affermato di aver cominciato a girare Doctor Strange nel Multiverso della Follia senza che ancora esistesse un finale.
Insomma, una lavorazione certamente non semplice, che per certi versi ricorda quella del travagliato Spider-man 3, eppure tutte queste criticità non fanno altro che aumentare la stima di chi vi scrive nei confronti di questo autore: un autore che nonostante situazioni produttive estremamente complicate, limitazioni creative e sceneggiature incomplete riesce comunque a tirar fuori buon intrattenimento e trame solide senza tuttavia mai rinunciare allo stile e alla personalità. Un obiettivo a cui ogni regista, che stia realizzando o meno un cinecomic, dovrebbe aspirare.
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di Ivan Guidi
www.2duerighe.com
2022-05-12 15:26:17 ,