Il clima che cambia è già diventato un business. Un mese fa, poche ore prima che il rapporto degli scienziati dell’Ipcc lanciasse un nuovo allarme sugli effetti devastanti del riscaldamento del pianeta, le cronache hanno dato conto di un’operazione finanziaria passata quasi inosservata dalle nostre parti. Moody’s, il colosso di Wall Street che assegna i voti (rating) ai titoli collocati da banche e aziende, ha siglato un contratto da 2 miliardi di dollari per comprare Rms, un’agenzia specializzata nella valutazione del rischio legato ai disastri naturali. L’entità della somma sborsata dal compratore, che si è da subito assicurato 300 milioni di ricavi supplementari, dà un’idea delle prospettive di sviluppo attribuite alla società appena passata di mano.
Rms, una sigla che sta per Risk Management Solutions, vende i suoi servizi a grandi società immobiliari e compagnie di assicurazione, costrette a pianificare i propri investimenti tenendo conto delle incognite legate al cambiamento climatico, incognite che sembrano destinate a moltiplicarsi nell’immediato futuro. La quasi totalità degli scienziati concorda infatti su un punto: fino al 2100, la temperatura media del globo continuerà a crescere, nella migliore delle ipotesi, di almeno 1,5 gradi rispetto al periodo preindustriale (1850-1900), ma ci sono scenari alternativi, e per nulla improbabili, in cui l’incremento atteso supererà i 5 gradi entro la fine del secolo. In ogni caso, prevedono gli studiosi, nei prossimi decenni aumenteranno la frequenza e la gravità di alluvioni, inondazioni, frane, incendi, siccità e ondate di caldo. Tutti fenomeni innescati dal riscaldamento globale, a sua volta provocato dalle emissioni in atmosfera dell’anidride carbonica prodotta dall’attività umana (industrie, trasporti, produzione di energia).
I disastri naturali causano in primo luogo la perdita di vite umane. A pagare il prezzo più elevato sono in genere i Paesi del Sud del mondo, che spesso non dispongono delle risorse necessarie a difendersi dalle catastrofi, nonostante i notevoli progressi raggiunti di recente grazie, per esempio, ai sistemi di allerta che segnalano i cicloni in arrivo. Poi ci sono i danni materiali, cioè quelli al sistema produttivo, alle infrastrutture, alle abitazioni. E qui le perdite economiche diventano molto più elevate negli Stati ad alto reddito pro capite. Secondo il rapporto sul clima dell’Ipcc, piogge torrenziali e inondazioni in Europa e nel Nord America saranno più frequenti nei prossimi anni anche nel caso in cui l’aumento della temperatura media del pianeta non superi i 2 gradi rispetto al periodo preindustriale. In particolare, si legge nel documento pubblicato in agosto, l’intensità delle precipitazioni aumenterebbe almeno del 14 % e gli eventi estremi sarebbero fino a due volte più frequenti.
A ben guardare, però, questa previsione non fa che confermare una tendenza già evidente da tempo. Un ampio dossier diffuso il primo settembre dal Wmo, l’Organizzazione metereologica mondiale, spiega infatti che il numero dei decessi causati da eventi climatici estremi tra il 2010 e il 2019 si è quasi dimezzato rispetto al decennio precedente, passando da 329 mila a 185 mila. Nello stesso periodo, però, il conto dei danni a livello globale è aumentato di quasi il 50 %: da 942 a 1.381 miliardi di dollari e l’incremento è quasi per intero da attribuire a catastrofi che si sono verificate nella parte più ricca del pianeta. Negli Stati Uniti i disastri che hanno provocato perdite superiori al miliardo di dollari sono stati 59 nel decennio 2000-2009 per poi raddoppiare a quota 119 nei dieci anni successivi. In Europa invece lo scenario è migliorato nell’arco del primo ventennio del secolo, con i costi dei disastri naturali che nel periodo 2010-2019 non hanno superato gli 86 miliardi di dollari contro i 151 miliardi di dollari registrati fino al 2009.
I dati più recenti, però, non lasciano grande spazio all’ottimismo. In tutta Europa, infatti, gli eventi climatici estremi, in primo luogo incendi e alluvioni, sono tornati ad aumentare a partire dal 2020. L’estate di quest’anno è stata segnata dalle piogge torrenziali che in luglio hanno provocato frane e inondazioni dal Belgio alla Germania fino alla Svizzera e all’Italia settentrionale. Da Liegi fino alla Renania l’alluvione ha provocato 180 decessi seminando crolli e distruzioni per decine e decine di chilometri. Il bilancio dei danni, ancora provvisorio, ammonta a oltre 20 miliardi di euro. Se questa cifra fosse confermata, la tempesta di luglio diventerebbe il più costoso disastro naturale, terremoti esclusi, mai registrato nell’Europa occidentale.
Più a sud, invece, sono stati gli incendi a portare morte e distruzione. A partire dalla fine di luglio roghi eccezionali per forza e dimensioni hanno devastato ampie zone costiere del Mediterraneo: Sardegna, Calabria, Sicilia e poi Grecia e Turchia. In Italia sono andati in fumo oltre 150 mila ettari di territorio, cioè 1.500 chilometri quadrati, un’area pari, per fare un esempio, all’intera provincia di Milano. Il clima eccezionalmente caldo e secco ha creato le condizioni ideali per le incursioni criminali dei piromani, favoriti anche dalla scarsa prevenzione e dai controlli a maglie larghe nelle zone boschive. Questa stessa miscela esplosiva, incuria umana unita a condizioni climatiche senza precedenti, ha innescato anche i giganteschi incendi che nelle settimane scorse hanno colpito la costa occidentale degli Stati Uniti.
Le statistiche più aggiornate rivelano che sei dei sette roghi più grandi mai registrati in California si sono verificati tra il 2020 e il 2021. Al conto delle perdite negli Stati Uniti vanno aggiunti anche i danni provocati dagli uragani. Il bilancio definitivo difficilmente raggiungerà quello dell’anno più nero, il 2017, quando ben tre cicloni di eccezionale potenza colpirono gli Usa causando danni per quasi 300 miliardi di dollari. Proprio nei giorni scorsi la costa orientale, compresa New York, è stata spazzata dal ciclone Ida, con danni che dalle prime stime sarebbero nell’ordine delle decine di miliardi di dollari e si vanno a sommare a quelli provocati da tempeste e uragani come Elsa, il più forte di tutti, che a luglio ha investito la Florida e poi, più a nord, l’area di Boston.
Una simile sequenza di fenomeni estremi ha finito per mettere in allarme anche le grandi compagnie assicurative, che vedono aumentare i risarcimenti da pagare a privati e imprenditori. Secondo i calcoli del gruppo svizzero Swiss Re, nella prima metà dell’anno, a livello globale, le polizze da onorare hanno superato i 40 miliardi, la somma più alta dal 2011. Generali, tra i big europei del settore, nel primo semestre del 2021 ha pagato 218 milioni per “sinistri catastrofali”, quasi il doppio rispetto al 118 milioni del 2020. Il conto è però destinato a crescere da giugno in poi, per effetto di incendi e tempeste in Europa e Stati Uniti. Non c’è da stupirsi, allora, se nei prossimi anni, i prezzi delle polizze aumenteranno almeno quanto la temperatura media del pianeta.
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di Vittorio Malagutti
espresso.repubblica.it
2021-09-13 07:50:00 ,