Con il crescente numero di studi scientifici che approfondiscono l’ecoansia e le altre forme di angoscia legata ai cambiamenti climatici, sorge l’esigenza di categorizzare e quantificare questo disagio. Ciò è particolarmente importante per distinguere i casi in cui l’ansia climatica evolve in una vera e propria psicopatologia, necessitando quindi di un intervento terapeutico, da quelli in cui non si configura come una patologia ma mina comunque il benessere psicologico, emotivo e cognitivo di una persona, provocando un aumento dei sentimenti di malcontento, rabbia, preoccupazione e disperazione per il futuro e promuovendo una visione pessimistica della realtà.
Una reazione costruttiva
Per questo motivo, alcuni ricercatori dell’università tedesca di Heidelberg hanno deciso di costruire una scala di valutazione diagnostica dell’ansia climatica per stimare la quantità dei casi in cui il generico disagio emotivo derivato dalla preoccupazione per gli effetti dei cambiamenti climatici degenera in un disturbo clinico vero e proprio in grado di compromettere a fondo la quotidianità di un individuo, i suoi rapporti sociali e il rendimento scolastico o lavorativo.
Per controllare la validità del loro metodo di valutazione, gli autori hanno svolto una ricerca sperimentale in quattro fasi tra il 2021 e il 2022, che ha coinvolto un campione totale di 1699 individui di lingua inglese e tedesca. I risultati di questo lavoro sono stati recentemente pubblicati su Nature. L’analisi dei dati raccolti riflette un elevato tasso di angoscia legata ai cambiamenti climatici tra i partecipanti (misurato, in particolare, attraverso la quantificazione dei sentimenti di rabbia, ansia e tristezza riferiti da questi ultimi). Nonostante ciò, dallo studio emerge che solo in una ridotta percentuale dei casi tale disagio raggiunge un livello patologico; gli autori concludono, perciò, che la maggior parte degli individui che soffrono a causa delle conseguenze dei cambiamenti climatici non sperimenta compromissioni della propria funzionalità psicologica, cognitiva e comportamentale.
Gli autori hanno inoltre rilevato una correlazione tra l’ansia climatica e una maggiore propensione ad assumere comportamenti ecologisti durante la quotidianità, confermando quanto già emerso da alcuni studi precedenti che avevano individuato l’esistenza di un nesso tra la preoccupazione, i sensi di colpa, la rabbia e – in generale – le emozioni negative associate alla percezione del rischio climatico con un atteggiamento generalmente più ambientalista e attento all’ecosostenibilità.
Serviranno ulteriori ricerche per confermare la validità della scala di valutazione dell’ansia climatica in questione, ma è chiaro che non basta definire una classificazione clinica per risolvere il problema. Il fatto che gli individui più angosciati dai cambiamenti climatici siano quelli più propensi ad assumere comportamenti ecologisti è un dato di cui tenere conto per le strategie di mitigazione sia del cambiamento climatico, sia dell’ecoansia (alcuni studi suggeriscono, infatti, che i comportamenti a favore dell’ambiente possano attenuare i sentimenti negativi associati all’ansia climatica) ma non è comunque sufficiente. Finché non passerà il messaggio che la cura della salute fisica e mentale globale non possa prescindere da quella del pianeta, è difficile confidare nella costruzione di un futuro prospero, sostenibile e salutare per tutti e per tutte.
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di Federica D’Auria www.wired.it 2023-08-13 04:10:00 ,