Con un’autorete, un mezzo rigore, per di più sbagliato, e un uomo in più l’Inghilterra arriva dove doveva cioè alla finale di Wembley di domenica 11 contro l’Italia.
I modesti e muscolari danesi ci hanno messo sudore e sangue per tenere fino alla fine. Il migliore in campo è stato il loro portiere Schmeichel, persino troppo bravo. L’istinto perfezionista lo ha portato a bloccare il rigore di Kane, invece di deviare il pallone in corner. Così il figlio del campione d’Europa del 1992 ha consegnato al centravanti inglese una seconda chance impossibile da sbagliare.
A caldo si potrebbero fare lunghi ragionamenti sul contenuto tecnico di un torneo che ha vissuto molto di corsa e poco di bel gioco. Sarebbero prematuri con la partita più importante ad aspettare in coda alla settimana. Un’Italia-Inghilterra in finale non si è mai vista, soprattutto per la scarsa abitudine dei bianchi a frequentare le finali dal 1966 in avanti.
Si giocherà a Wembley, sede de facto di questo Europeo, con un’ovvia preminenza di tifo casalingo. La sensazione è che gli azzurri siano più gruppo degli inglesi ma queste considerazioni lasciano il tempo che trovano di fronte a un movimento economico-sportivo che da un quarto di secolo è alla guida del continente, che nelle ultime coppe per club ha schierato tre delle quattro finaliste e che è disperatamente in cerca di un riconoscimento nazionalista, identitario, quasi sciovinista, slegato dalle prodezze di fuoriclasse stranieri comprati a prezzo dell’oro di altri stranieri, oligarchi, sceicchi, hedge funder.
Coming home per gli inglesi significa tornare alle radici di chi il calcio lo ha inventato un secolo e mezzo fa e lo ha poi reinventato con la scoperta della pay-tv proprio al fondo della crisi, quando in campo il 4-4-2 era vangelo e sugli spalti incombevano gli ultimi fuochi degli hooligans.
Coming home significa che dopo 55 anni di figuracce e, quasi peggio, partite perse con l’onore delle armi deve prevalere la spinta collettiva del popolo, di quel curioso personaggio che abita il 10 di Downing street, dell’usuale carrozzone composto da principi, duchi e conti con i loro travolgenti intrighi di palazzo.
La squadra di Southgate, questo è certo, non esprime un gioco memorabile. Eppure, presi uno per uno i ventisei bianchi sono probabilmente superiori ai ventisei azzurri che però hanno un commissario tecnico autore di un miracolo rispetto al parco giocatori a disposizione. La Spagna ci ha reso la vita molto dura ma la Spagna ha almeno una categoria in più dei danesi e noi non siamo soltanto volenterosi. Abbiamo tecnica pari, fisico inferiore, tattica superiore.
Il pronostico ci vuole un passo indietro, giusto così. Ma una vittoria domenica prossima confermerebbe che al football piace il turismo e che la sua casa è Roma quanto Londra. Alla fine, loro aspettano di vincere dal 1966, noi dal 1968 (l’Europeo). Non è il caso di sottilizzare.