Fa caldo da morire: ecco in che pentola siamo. Ora ‘solo una rivoluzione ci salverà’

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Di fronte a fatti quali quelli avvenuti nella seconda metà della scorsa settimana in Canada e negli Stati Uniti si auspica che anche i più scettici (o per meglio dire i più cretini) possano finalmente maturare una certa consapevolezza della gravità del fenomeno di mutamento climatico o riscaldamento globale in atto.

L’ondata di caldo torrido che ha colpito queste zone del globo, che peraltro rientrano fra le più ricche e, almeno in teoria, le meglio organizzate dello stesso, ha provocato centinaia di vittime e di incendi. Il balzo verso l’alto della temperatura è stato davvero impressionante. Anche in Italia si profila un’estate a dir poco soffocante con temperature fino a 45 gradi all’ombra. Nelle zone più povere del pianeta si amplieranno le zone del tutto inabitabili per effetto della desertificazione e del caldo insopportabile, proiettando milioni di profughi ambientali verso altre zone, una marea umana che neanche i ridicoli blocchi navali pateticamente minacciati dalla Meloni o quelli dei porti illegittimamente praticati da Salvini riusciranno mai a contenere.

Le motivazioni del fenomeno sono state da tempo identificate con chiarezza dalla comunità scientifica. Si tratta dell’effetto serra dovuto in buona parte alle fonti energetiche di tipo fossile (petrolio, carbone, gas). Fermare il riscaldamento globale, che è già per molti aspetti oltre il punto di non ritorno, implicherebbe quindi una profonda riconversione dell’intero sistema economico, a partire dalla produzione dell’energia, mediante un drastico risparmio della stessa e uno sforzo senza precedenti volto alla moltiplicazione delle fonti rinnovabili.

Da che mondo è mondo però, e di ciò occorre essere ben consapevoli, trasformazioni profonde della struttura economica, sociale e produttiva richiedono la mobilitazione di energie rivoluzionarie per fare piazza pulita (è proprio il caso di dirlo) degli interessi costituiti legati al mantenimento a tutti i costi del vecchio sistema. E ciò è confermato dagli sforzi costanti delle potentissime e ricchissime lobby del fossile per screditare gli scienziati onesti, che da tempo hanno lanciato un purtroppo molto giustificato allarme, ammonendo che continuando in questo modo si va verso la catastrofe.

Basti citare le attività di Exxon Mobil, una delle tante multinazionali petrolifere che ha condotto una vera e propria guerra contro la verità per conservare i suoi profitti, com’è stato documentato dalla piattaforma investigativa Unearthed messa in piedi da Greenpeace. Gli sforzi delle stesse multinazionali o di alcuni governi, come il nostro, di ridipingersi di verde turlupinando l’opinione pubblica, possono al massimo ingannare qualche editorialista dell’Espresso o Beppe Grillo.

Per quanto riguarda il Governo Draghi, anzi, gli ingenti fondi guadagnati (in gran parte grazie all’impegno di Giuseppe Conte) per il cosiddetto Piano nazionale di ripresa e resilienza, che dovrebbe guidare nientemeno che la transizione ecologica a livello europeo e nazionale, vengono oggi dirottati verso imprese di ben dubbia portata dal punto di vista della lotta al cambiamento climatico, come il ponte sullo Stretto di Messina, il Tav o l’estrazione di gas dal mare, mentre il ministro Roberto Cingolani si abbandona a sfrenate fantasie avveniristiche sulla fusione nucleare che, nella migliore delle ipotesi, potrebbero realizzarsi fra una cinquantina d’anni o giù di lì, quando cioè, andando avanti di questo passo, saremo tutti belli e lessati.

Del resto nel gruppo dei draghiani duri e puri assemblati nel cosiddetto “Nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica” troviamo alcuni personaggi che, oltre ad essere, come prevedibile, neoliberisti sfegatati (altro che keynesismo draghiano), sono anche negazionisti climatici. È il caso di Carlo Stagnaro, fondatore e direttore ricerche e studi di un certo Istituto Leoni che, fra le altre cose, si dedica, in singolare ma forse non del tutto casuale consonanza cogli interessi delle lobby citate, a dileggiare chiunque denunci il riscaldamento globale, prendendosela sia con Greta Thunberg (“priva di ogni modestia intellettuale, la liceale Thunberg ha già deciso che esiste un riscaldamento globale di origine antropica”) sia coll’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), l’organismo scientifico che da tempo ha previsto in modo corretto e inconfutabile il fenomeno: ”Le basi scientifiche del global warming sono ancora controverse e gli effetti dell’attività umana sul clima sono motivo di accesi dibattiti. L’organismo preposto a informare e consigliare i governi sulle politiche climatiche (l’Ipcc) si è dimostrato parziale e tendenzioso”.

Lo stesso Stagnaro ha pure pubblicato un libro, la cui sintesi, tratta dal sito dell’editore, è la seguente: “Nonostante l’idea che dovremmo fare qualcosa di drastico contro l’effetto serra, le analisi economiche mostrano che tagliare radicalmente le emissioni di CO2 sarebbe di gran lunga più costoso di adattarsi alle temperature in aumento”. Al di là dell’italiano claudicante pare di capire che lo Stagnaro preferirebbe un non meglio specificato “adattamento” al disastro climatico a misure che colpiscano determinate industrie, cui evidentemente tiene molto. Peraltro, pare di capire che un approccio del genere è quello seguito dal governo Draghi.

Ecco in che mani, o meglio, dato il fenomeno, in che pentola siamo. L’alternativa è una sola: fare la triste fine della rana bollita o rovesciare la pentola, seguendo la valida indicazione data già qualche anno fa da Naomi Klein: “Solo una rivoluzione ci salverà”. I giovani lo stanno fortunatamente cominciando a capire.



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