Quando inizierà il taglio dei tassi? Ormai negli Stati Uniti – e non solo… – le analisi sulla politica monetaria hanno cambiato argomento. Si guarda alla prossima fase, ormai considerata più vicina nel tempo dopo la diffusione di alcuni dati macroeconomici che appaiono molto favorevoli. La Federal reserve, che nella riunione di dicembre lascerà con tutta probabilità i tassi invariati e, soprattutto, pubblicherà le nuove proiezioni su tassi, inflazione e crescita, ha però davanti a sé un compito non banale: evitare che si creino aspettative che non è possibile soddisfare.
Il rischio di un taglio prematuro
Abbassare i tassi troppo presto pone il rischio – come ha mostrato un’ampia analisi del Fondo monetario internazionale – di far fallire l’intera manovra: l’inflazione potrebbe risorgere e a quel punto la (nuova) stretta dovrebbe essere molto più severa. A complicare le cose sono i mercati: perché, in un’economia in cui l’intermediazione bancaria è molto meno importante che altrove, i rendimenti stanno già “tagliando”, in previsione della nuova fase.
Inflazione in deciso calo
A entusiasmare gli investitori sono stati i dati sull’inflazione. Gli Stati Uniti hanno a disposizione un alto numero di indicatori sulla dinamica dei prezzi. Molti di questi sembrano indicare che il peggio è passato e che l’”ultimo miglio”, quello verso l’obiettivo del due %, potrebbe essere percorso rapidamente. L’indice Pce (Personal consumption expenditures) – che è il preferito della Federal reserve – è stato pari a ottobre al 3%, con una core inflation ancora relativamente elevata, al 3,5%, ma ormai in deciso calo e soprattutto sempre più allineata alla velocità dell’indice complessivo. Non basta in realtà per cantare vittoria, ma è un tassello importante.
Aspettative di inflazione sotto controllo
Anche le aspettative di inflazione sembrano vicine alla normalità, almeno nelle misure dei mercati. Sono in deciso calo da dicembre e ormai, e comprese come sono tra il 2,1% (tra cinque anni) e il 2,3% (nei cinque anni successivi) sono quasi compatibili con la stabilità dei prezzi. Gli economisti sono, giustamente, molto cauti sul ruolo delle aspettative nel breve termine: se confermano la credibilità della politica monetaria, possono non dare indicazioni utili sull’andamento dell’inflazione e non si possono escludere fiammate dei prezzi, anche legate alla domanda domestica, slegate dal loro andamento. Alcuni lavoratori, inoltre, sono più sensibili alle aspettative adattive, e conta più il livello attuale dell’inflazione per le attese di lungo periodo.
Salari orari più veloci dei prezzi
Per la Federal reserve sarà dunque molto importante una valutazione complessiva di tutta l’economia. La banca centrale Usa non ha visto quel raffreddamento dell’attività economica e del mercato del lavoro che le darebbe la certezza che il surriscaldamento è cosa passata. I salari per esempio crescono ormai più rapidamente dei prezzi. I lavoratori americani, come tutti i percettori di uno stipendio fisso, hanno molto sofferto durante la fase di alta inflazione – e questo spiega anche la disaffezione verso l’amministrazione Biden e la sua politica economica – ma da maggio i salari sembrano recuperare potere d’acquisto (anche se le ore lavorate aumentano a velocità sempre più ridotte). I buoni dati sul Pil non sembrano dare molte preoccupazioni sul fronte della produttività, che accelera, ma evidentemente la velocità delle retribuzioni va valutata con grande attenzione.