Le infezioni da Hiv sono il riflesso di troppe variabili, sociali, politiche ed economiche, perché il loro andamento nei diversi paesi segua un’unica direzione. Anche all’interno degli stessi paesi si osservano inversioni di rotta, in trend che tenevano da tempo. L’Italia ne è un chiaro esempio. I dati comunicati alla vigilia della ricorrenza della Giornata Mondiale contro l’Aids certificano infatti che le nuove infezioni per il 2023 sono ancora in aumento rispetto agli anni precedenti, seguendo un trend avviato nel 2021 dopo quasi dieci anni in cui l’incidenza era gradatamente diminuita, fino a toccare un minimo allo scoppio della pandemia.
L’Hiv in Italia
A rendere noti i dati è il Centro Operativo Aids dell’Istituto superiore di sanità. Due i numeri principali che emergono dall’analisi: 2349 nuove diagnosi lo scorso anno, per un totale di persone che oggi convivono con l’Hiv in Italia di circa 140 mila. Ma il report, come di consueto, contiene una miriade di informazioni utili a fotografare lo stato delle infezioni da Hiv e Aids in Italia, inquadrandolo nel contesto europeo. Così, per esempio, scopriamo che, la principale modalità di trasmissione del virus nel nostro paese è per via sessuale tra eterosessuali (poco meno della metà dei casi considerando maschi e femmine), seguiti per quasi un 40% da maschi che fanno sesso con maschi. Circa un 3% dei casi si ha tra chi utilizza droghe per via iniettiva, mentre per un caso su dieci non è possibile risalire alla modalità di trasmissione.
L’aumento delle diagnosi tardive
C’è un altro dato importante che emerge dall’analisi. Malgrado le campagne di sensibilizzazione a favore dei test (anche quelli fai da te), chi scopre di avere l’Hiv oggi spesso arriva tardi alla diagnosi. In circa il 25% dei casi la diagnosi di Hiv arriva contestualmente a quella da Aids (che si ha quando la conta dei linfociti CD4, il bersaglio del virus Hiv, scende sotto una soglia critica, fissata a 200 cellule per microlitro), spiegano gli esperti dal centro dell’Iss. Le diagnosi tardive – non ancora Aids, ma con livelli comunque sensibilmente ridotti di linfociti CD4, inferiori a 350 cell/μL – sono state il 60% del totale di nuove infezioni da Hiv (più comuni tra chi ha più di 60 anni e tra gli eterosessuali maschi), anche queste in aumento da tempo.
Interpretare questi dati solo come il prodotto di una scarsa consapevolezza in materia, non è però del tutto corretto, ribadiscono gli esperti. “L’andamento in crescita dopo il 2020 potrebbe essere dovuto al recupero di diagnosi nei servizi per l’Hiv che, durante la pandemia, sono stati impegnati nell’assistenza alle persone con COVID-19 – si legge negli approfondimenti a corredo dei dati – Questo è confermato anche dal trend in aumento delle diagnosi HIV tardive negli anni più recenti specie negli eterosessuali in età avanzata”.
Lo sguardo complessivo: la situazione nel mondo
L’Italia quindi, complice la pandemia, sta osservando un aumento del numero dei casi di Hiv. Non è certamente il solo paese dove questo sta avvenendo. Anzi, la situazione del nostro paese si inserisce all’interno di un trend ben definito che abbraccia l’Europa principale e orientale, insieme ai paesi dell’Africa settentrionale, Medio Oriente e Asia principale. A ricordarlo è stato di recente lo studio finanziato dalla Bill & Melinda Gates Foundation e dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases, pubblicato su Lancet Hiv, relativo a più di 200 paesi. La osservazione fa parte del Global Burden of Disease Study ed è stata realizzata dall’Institute for Health Metrics and Evaluation (Ihme) di Seattle.
L’aspetto interessante dello studio non è solo quello di dissezionare i diversi andamenti a livello complessivo, mostrando che per chi procede a vele spiegate – l’Africa sub-shahariana e l’Asia meridionale – c’è chi procede in controtendenza come detto, ma è quello di fornire delle previsioni. Cosa ci aspetta in futuro? Quando comincerà a diminuire il numero delle persone che vivono con l’Hiv?
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di Anna Lisa Bonfranceschi www.wired.it 2024-11-30 06:00:00 ,