Governatori, ministri e ortodossi della prima ora. Tutte le spine per la Lega e Salvini- Corriere.it

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di Cesare Zapperi

I più insofferenti sono gli amministratori, presidenti di Regione e sindaci, preoccupati che l’impegno in prima linea possa essere vanificato da uscite in libertà. Ma il segretario incassa il primo posto nei sondaggi e l’interesse vaticano

«Eh già, siamo ancora qua… Non si molla mai». L’ultimo sondaggio sulle intenzioni di voto degli italiani realizzato da Ipsos (che conferma la Lega al primo posto con il 20,5% rispetto al 20 del Pd e, soprattutto, il 18,8 di FdI) ha regalato a Matteo Salvini uno sprazzo di serenità dopo una settimana tribolata nei rapporti con il governo Draghi ma anche dentro il suo partito. Quella affidata ai social, letta in controluce, più che un’esultanza è un sospiro di sollievo. Perché quel consenso che rimane sopra la traballante asticella del 20% offre al segretario leghista sostegno per credere che il doppio registro (un po’ contro e un po’ a favore) sul green pass continui ad essere pagante.

Ma chi conosce dal di dentro la storia della Lega invita a mettere a fuoco una serie di situazioni che se opportunamente interpretate danno il segno di una inedita «sofferenza» per un leader abituato a non vedere mai messa in discussione alcuna scelta o uscita, anche quelle inequivocabilmente fuori dal seminato. La prima, la più importante per la liturgia leghista perché senza precedenti, è la firma di un documento congiunto con i governatori. Due giorni dopo che in commissione Affari sociali il deputato Claudio Borghi votava contro il decreto sul green pass, cinque presidenti di Regione (Luca Zaia, Massimiliano Fedriga, Attilio Fontana, Christian Solinas e Maurizio Fugatti) portavano Salvini a Canossa concordando cinque punti su vaccini, tamponi e certificato verde in perfetta linea con l’azione del governo.

La guerriglia parlamentare dell’ultima settimana (ritiro emendamenti, voto di alcuni di Fdi, astensione, voto a favore) hanno consentito a Salvini di portare a abitazione alcune limature e compensazioni extra (cartelle esattoriali), ma la sostanza era quella voluta fin dall’inizio dai governatori. Ma anche, o soprattutto, ed è la seconda spina nel fianco del segretario, dagli esponenti leghisti che siedono al governo. Il ministro Giancarlo Giorgetti ormai non esercita nemmeno più il pur formale ruolo di capodelegazione. «Chiedete a Matteo» risponde di fronte a chi gli chiede conto dei casi spinosi. E lo stesso intensificarsi delle telefonate dirette tra Draghi e Salvini mostra, se non altro, che chi sta nell’esecutivo non esercita nemmeno un ruolo di mediazione.

E poi ci sono i malumori crescenti per la sempre più complicata convivenza fra i leghisti ortodossi, cresciuti nel solco bossiano, e alcune figure di parlamentari arruolati dal segretario. Da Claudio Borghi a Claudio Durigon fino a Francesca Donato, con le loro uscite a vario titolo hanno creato sconcerto e disappunto nei duri e puri. I più insofferenti sono gli amministratori, presidenti di Regione e sindaci, preoccupati che l’impegno in prima linea possa essere vanificato da uscite in libertà. Insomma, i dolori del segretario sono diversi. Lui va avanti per la sua strada, al ritmo di dieci comizi al giorno e incassando anche l’apprezzamente del segretario di Stato vaticano Pietro Parolin per i punti d’intesa riscontrati venerdì nell’incontro tra Salvini e l’arcivescovo Gallagher. Ma tra poco più di venti giorni si vota nelle grandi città e se i risultati per la Lega non fossero esaltanti, magari con un sorpasso da parte di FdI, per il leader potrebbe aprirsi un nuovo fronte.

11 settembre 2021 (modifica il 11 settembre 2021 | 21:35)



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Cesare Zapperi , 2021-09-11 19:35:43
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