Greentrolling: attivisti clima inchiodano sui social aziende inquinanti

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di Andrea Indiano

Basta un post ben congegnato per mandare in frantumi le campagne di green washing: così gli attivisti combattono la propaganda dei grandi colossi del petrolio

Greentrolling, attivismo social per i cambiamenti climatici
Greentrolling, attivismo social per i cambiamenti climatici

Nel vocabolario di internet, con troll si intende un utente la cui presenza sul web è caratterizzata da risposte insolenti e battute volgari verso gli altri internauti. Una figura negativa che sta ottenendo una sorta di redenzione grazie al trend del greentrolling. Con questa definizione vengono raggruppati i troll ambientalisti, ovvero gli utenti che sui social si dilettano a prendere in giro e a chiamare in causa le aziende colpevoli di aver inquinato. La comunicazione aziendale di oggi, infatti, prevede una presenza sui social network per quasi tutte le multinazionali, comprese quelle che in passato sono state al centro di scandali e danni ambientali. Sono proprio queste ultime, e in special modo le compagnie petrolifere, i morti preferite degli autori del greentrolling.

Sondaggi e post delle aziende petrolifere

Cosa pensi di fare per ridurre le emissioni?”, ha chiesto l’account Twitter del colosso petrolifero Shell ai suoi 500mila fan. Un tipico sondaggio social che prova a coinvolgere i follower, ma che non ha avuto il successo sperato: solo poco più di 200 i clic ricevuti, con la maggior parte degli utenti che ha votato per la generica risposta “energie rinnovabili”.

A destare attenzione è stato però il messaggio dell’attivista Jamie Margolin (68mila follower su Instagram, 54mila su Twitter) che al sondaggio di Shell ha risposto con un tweet sarcastico. “Questi siete voi?”, ha chiesto la giovane allegando un’immagine della perdita di petrolio avvenuta nel Golfo del Messico a maggio 2016 causata da un oleodotto proprio della Shell. La risposta di Margolin ha ricevuto molte più interazioni del tweet originale, facendo dimenticare il sondaggio e riportando alla luce il danno ambientale causato dall’azienda. Un esempio di greentrolling presto imitato da altri account su Twitter, dove commenti e risposte possono modificare l’andamento di una conversazione online e spingere nei trend un argomento scomodo.

Proteste online

Gli attivisti del clima optano sempre più spesso per questo tipo di protesta che si sta rivelando molto efficace. Il greentrolling permette di raggiungere un vasto pubblico – dato che le multinazionali hanno un grande numero di follower – e di spostare l’attenzione sui problemi del cambiamento climatico: basta una risposta sagace per mandare in frantumi una strategia di marketing aziendale costruita e finanziata in settimane se non mesi di preparazione. Per questo la tattica è impiegata da giovani attivisti, ricercatori e legislatori per protestare contro le aziende inquinanti.

ExxonMobil, BP, ConocoPhillips, Chevron e Shell hanno speso collettivamente almeno 3,6 miliardi di dollari in pubblicità tra il 1986 e il 2015, secondo quanto riportato dal Guardian. Una cifra che negli ultimi anni comprende anche gli investimenti via social, nei quali però sono presenti per la prima volta le reazioni schiette e immediate da parte del pubblico.

Il caso di BP

L’azienda British Petroleum, nota come BP, ha provato a sfruttare lo slang del web per lanciare la notizia della modernizzazione di una delle sue fabbriche. “Nel caso ve lo foste perso (Icymi, in case you missed it nel linguaggio di internet) il nostro nuovo stabilimento all’avanguardia in Texas segna un passo significativo per i nostri obiettivi di ridurre le emissioni e migliorare la produzione” ha twittato l’account ufficiale americano dell’azienda ricevendo 8 miseri like.

Di più ne hanno ricevute le risposte ironiche dei commentatori, fra i quali spicca quella di un utente dedito al greentrolling: “Icymi: oggi è l’undicesimo anniversario della fuoriuscita di petrolio della Deepwater Horizon BP. È durata 87 giorni, ha versato oltre 130 milioni di galloni di petrolio nel Golfo del Messico, ha ucciso 11 lavoratori sulla piattaforma e ha danneggiato l’ambiente marino e la fauna selvatica. Un dannato disastro”. Di solito le aziende provano a rispondere ai commenti online, dato che questa pratica favorisce l’interazione e la diffusione delle notizie, ma BP e altre aziende del settore sembrano aver messo da parte questa possibilità per evitare delle pessime figure.

Greta e il greentrolling

D’altronde è difficile prendere le parti delle aziende coinvolte: la città di New York ha fatto causa a ExxonMobil, BP, Shell e all’American Petroleum Institute per aver ingannato sistematicamente e intenzionalmente i consumatori sul ruolo centrale che i loro prodotti giocano nel causare la crisi climatica. Pubblicamente, queste multinazionali hanno sposato la causa della lotta al cambiamento climatico, ma in realtà stavano agendo consapevolmente contro gli interessi dell’ambiente, ha affermato Mary Annaïse Heglar, una delle prime attiviste a sperimentare con successo il greentrolling.

Persino Greta Thunberg, volto simbolo del rinnovato interesse per l’ambiente, si è cimentata nel genere. All’ennesimo, banale, sondaggio di Shell che chiedeva “cosa sei disposto a fare per aiutare l’ambiente”, l’attivista svedese ha così risposto: “Non so voi, ma io di sicuro sono disposta a chiamare in causa le società di carburanti fossili per aver distrutto consapevolmente le condizioni di vita future per innumerevoli generazioni a scopo di lucro cercando di distrarre le persone”.

Il greentrolling si sta diffondendo su Instagram e LinkedIn, ha detto Mary Annaïse Heglar, che ha notato come i post di alcune aziende siano diventati meno frequenti e più formali. La maggior parte ha interrotto o rallentato i tweet sulla responsabilità personale, una tattica di lunga data per trasferire la colpa della crisi climatica sugli individui e nascondere le colpe delle industrie dei combustibili fossili. Grazie a una delle pratiche più discusse dei troll del web, ora chi ha inquinato viene etichettato come responsabile davanti al vasto pubblico dei social.





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www.wired.it
2021-09-14 05:00:55

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