In Italia più di una persona al giorno muore sul lavoro. E buon Primo Maggio

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L’ultimo giorno funesto è stato il 29 aprile. Nel nuovo deposito di smistamento di Amazon ad Alessandria una trave ha ceduto, le campate sono venute giù. E sei persone che ci stavano lavorando sono precipitate a terra. Un volo di sei metri che non ha lasciato scampo a Flamur, operaio di 50 anni, e ne ha feriti altri cinque di cui uno in condizioni critiche. 

Nelle stesse ore ci sono state altre due vittime: Natalino, gruista di 49 anni, è morto nel porto di Taranto dove stava lavorando in operazioni di carico su una nave di pale eoliche. Non si sanno ancora con certezza le cause, ma è precipitato sulla banchina morendo sul colpo. E poi ancora, il 23enne Mattia, operaio edile a Montebelluna in provincia di Treviso, è stato travolto da una pesante impalcatura che non gli ha lasciato scampo. 

Ma la lista è lunga, fatta di storie magari diverse, ma accomunate dallo stesso triste epilogo. Molti sono operai travolti dalle macchine che stavano utilizzando, come Antonio di 58 anni che stava lavorando in un cantiere stradale a Potenza quando è stato schiacciato dall’escavatore che manovrava, o agricoltori uccisi dai loro stessi mezzi che si ribaltano, come nel caso di Vittorio di 63 anni in provincia di Ragusa, o da cadute dall’alto come quella di Giovanni, operaio di 51 anni impegnato a compiere dei lavori sul tetto del carcere di Secondigliano a Napoli e precipitato da un’altezza di cinque metri, o quella di Giorgia, una giovane madre di 27 anni caduta dalla scala da dove stava facendo delle pulizie e morta dopo aver sbattuto la testa. 

Dal 1° gennaio al 1° maggio in Italia è morta sul lavoro più di una persona al giorno. Una strage spesso silenziosa che nel 2021, fino a oggi, per l’Anmil, Associazione Nazionale fra Lavoratori Mutilati e Invalidi del Lavoro, ha visto scomparire 120 persone mentre svolgevano il proprio lavoro o nel tragitto per andarci. L’associazione raccoglie i tragici episodi che ogni giorno coinvolgono lavoratori da nord a sud della Penisola, per cercare di restituire dignità di memoria alle vittime di questa piaga. 

Ma la situazione, se possibile, è anche peggiore, visto quanto emerge dalle parole di Franco Bettoni, presidente dell’Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro (Inail), a cui sono arrivate nei primi tre mesi del 2021 ben 185 denunce di infortunio sul lavoro con esito mortale, che precisa «sono 19 in più rispetto a quelle registrate nel primo trimestre 2020. Ma sono dati ancora provvisori e per quantificare il fenomeno è necessario attendere il consolidamento dei dati dell’intero 2021». Da inizio pandemia, l’Inail conteggia anche le denunce dei casi di chi è morto dopo aver contratto il virus a lavoro, che da marzo 2020 a marzo 2021 sono state 551, di cui l’82,8% uomini.

Se i dati dell’Inail sono inevitabilmente influenzati dal conteggio delle infezioni del virus, quelli che ci vengono forniti da Alessandro Genovesi, segretario generale di Fillea Cgil, sindacato di riferimento per il settore dell’edilizia, sono indicativi per notare la tendenza in crescita: «nel periodo tra gennaio e febbraio del 2020 e lo stesso lasso di tempo del 2021 c’è stato un aumento delle morti sul lavoro del 170%. Un trend in crescita, che esula dalla pandemia visto che il periodo di riferimento sono i primi mesi dello scorso anno, con l’Italia ancora “aperta”». La stragrande maggioranza è composta da individui di sesso maschile, il 43% è tra i 40 e i 60 anni e la percentuale relativa agli over 60 è la stessa. Una media molto alta, dettata dal fatto che nell’ultimo decennio non c’è stato un vero ricambio generazionale tra i lavoratori del settore, anche a causa della crisi economica. 

Proprio il mondo dell’edilizia «è il più colpito da questo fenomeno, insieme a quello dell’agricoltura. Le principali cause di morte sono le cadute dall’alto, lo schiacciamento o il crollo di muri, il ribaltamento di mezzi e la fulminazione», sostiene Genovesi. 

Il problema principale è il lavoro nero, molto presente in Italia, in prevalenza nelle piccole e medie imprese che, per risparmiare e tagliare sui costi, non garantiscono neanche le minime condizioni di sicurezza fisica alle persone. 

Dati, numeri, statistiche che troppo spesso risultano fredde e vuote ma dietro le quali sono presenti tante storie, speranze e desideri di uomini e donne le cui vite sono state spezzate precocemente. Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico e Rappresentante dei Lavoratori per la sicurezza in provincia di Firenze, si è impegnato personalmente nel riunire le notizie di queste morti che «tanti, troppi continuano a chiamare “bianche”, un insulto ai familiari e alle vittime. Le chiamano così per alludere all’assenza di una mano direttamente responsabile dell’accaduto, invece la mano c’è sempre, a volte più di una». Bazzoni nel 2011 e nel 2014 aveva fatto aprire due procedure di infrazione dalla Commissione europea ai danni dell’Italia, proprio per le inadempienze in materia di sicurezza sul lavoro, e da anni lotta affinché «il tema venga trattato come quello che è: un bollettino di guerra, una vera e propria emergenza di cui è importante parlare».

E nel prossimo periodo la situazione potrebbe peggiorare. Secondo Genovesi, con il Piano Nazionale della Ripresa e Resilienza, per esempio, «ci potrà essere una crescita del 5-6-7% nel settore edile, ma se non si attuano alcune riforme ci sarà un aumento uguale nel numero di morti e degli incidenti». La Fillea Cgil propone a gran voce, e da tempo, di puntare sul “Durc di congruità”, che già in passato è stato utilizzato con successo in particolari occasioni di ricostruzione, e che permette di legare il costo complessivo di un’opera all’incidenza del costo della manodopera che ci lavora, in modo da dare garanzie in più, in primis ai lavoratori. L’altra mozione sindacale è il sistema di una “patente a punti”, sulla falsariga di quella automobilistica, che punisce e premia negli anni le aziende non colpevoli o colpevoli di incidenti per i loro dipendenti. Sempre per Genovesi, bisognerebbe poi istituire l’aggravante dell’omicidio sul lavoro, come fatto per quello stradale: «Per me investire sotto effetto di alcol o droga una persona è tanto disdicevole e grave quanto sapere che un operaio sta a nero, non gli è stato dato un caschetto ed è stato mandato a lavorare sul tetto al quinto piano di un palazzo».

L’Inail in questi mesi ha stanziato circa 14 milioni di euro per il finanziamento di interventi formativi rivolti ai Rappresentanti dei Lavoratori per la sicurezza, ai Responsabili dei Servizi di Prevenzione e protezione e ai lavoratori. Perché ciò che manca è un’adeguata prevenzione, sacrificata spesso sull’altare di guadagni più veloci e facili. Per Bettoni «va rafforzata attraverso una più intensa attività di informazione, formazione, ricerca e interventi di sostegno alle imprese» e va incentivata la consapevolezza dei rischi, affinché non vengano sottovalutati.

Uno sforzo comune, che necessita «la volontà e la collaborazione di tutti i soggetti che, ciascuno per il proprio ruolo, hanno la responsabilità della tutela della salute dei lavoratori». E fino a che questo impegno non sarà una priorità per tutti, la strage continuerà indisturbata.



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