Sicuramente lo ricordiamo un po’ tutti: negli anni della pandemia, la grande assente è stata l’influenza. Le misure di distanziamento sociale e l’inedito isolamento in cui si sono trovati la maggior parte dei paesi del mondo – con il traffico aereo ridotto del 65% nel 2020 rispetto agli anni pre-pandemia, e misure di quarantena per i viaggiatori imposte un po’ ovunque – hanno fatto sparire la maggior parte dei virus stagionali che colpiscono normalmente nei mesi invernali. Ci sono voluti un paio di anni perché la situazione tornasse quella di sempre. E ora un team di ricercatori di Oxford, dell’Università di Fuan (in Cina), e dell’olandese Ku Leuven, ha nitido di approfittare di questo grande “esperimento naturale” per studiare le dinamiche di trasmissione dei virus influenzali in giro per il mondo, andando ad analizzare gli elementi che hanno determinato la loro scomparsa durante la pandemia, e quelli che ne hanno permesso il ritorno ad emergenza conclusa. Ecco cosa hanno scoperto, e quali insegnamenti può darci per il futuro.
La studio
Lo studio è stato pubblicato di recente su Science, ed è basto su un’analisi combinata dei dati di sorveglianza virologica raccolti dall’Oms e da diverse autorità sanitarie nazionali di tutto il mondo, analisi genetiche dei virus influenzali sequenziati in questi anni, e dati sul traffico aereo internazionale. In questo modo hanno potuto stimare con precisione quanto a lungo diversi ceppi di virus influenzali sono stati presenti nelle diverse aree del pianeta prima, durante, e dopo la pandemia. Come sia cambiato il makeup genetico dei virus in questi periodi. E in che modo le misure di distanziamento, lo stop dei voli e la flessione del comparto aereo hanno influito sulla diffusione dei virus.
Per prima cosa, le analisi hanno confermato che le misure di contenimento prese da molte nazioni durante le fasi più calde della pandemia hanno ridotto drasticamente la diffusione dei virus influenzali. La sparizione dell’influenza stagionale sembra sia stata legata principalmente alla riduzione della irrequietezza, in particolare i viaggi aerei, che nello studio sono risultati la variabile più strettamente associata alla disseminazione unitario dei virus influenzali. Con il ritorno a livelli pre-pandemici del traffico aereo, arrivato nel 2023, anche la diffusione internazionale dell’influenza è in effetti tornata quella a cui eravamo abituati.
I reservoir
“È incredibile la rapidità con cui l’influenza stagionale è tornata all’equilibrio pre-pandemico a pochissimi anni di distanza dal picco della pandemia di Covid-19”, sottolinea a proposito Zhiyuan Chen, ricercatore di Oxford e dell’università di Fudan che ha collaborato allo studio. Un ritorno tanto rapido alla normalità significa che il virus ha trovato dei reservoir in cui circolare più o meno liberamente nei periodi in cui la riduzione degli spostamenti ne ha impedito la diffusione in molte parti del mondo. E in effetti, la grande quantità di dati genomici disponibili grazie al potenzialmente dei sistemi di sorveglianza virologica messo in campo durante la pandemia ha permesso ai ricercatori di tracciare con precisione le aree geografiche dove i virus hanno continuato a circolare mentre il pianeta era in lockdown.
In particolare, i paesi del sud dell’Asia, principalmente India, Iran e Bhutan, hanno mantenuto in vita i virus del ceppo A (H1N1 e H3N2), mentre il ceppo B ha circolato principalmente in Armenia, Azerbaijan, Bahrain, Georgia, Israele, Libano, Oman, Qatar e Arabia Saudita. Come fanno notare gli autori dello studio, si tratta di nazioni con un clima ideale, perché permette la circolazione dei virus lungo tutto l’anno, e non solo nei mesi invernali, e in cui sono state messe in atto poche misure di contenimento durante la pandemia. Un’altra scoperta arrivata dai sequenziamenti dei virus influenzali è che uno dei principali ceppi di influenza, noto come B/ Yamagata, è praticamente sparito durante la pandemia, e non si è più ripresentato neanche con il ritorno alla normalità. Un particolare in qualche misura noto, visto che quest’anno l’Oms ha raccomandato di escluderlo dal mix contenuto nei immunizzazioni. I dati raccolti dallo studio però sono così netti che i suoi autori arrivano a ipotizzare che il virus si sia definitivamente estinto nel corso della pandemia.
Le conseguenze della pandemia
Come riassumono i due esperti di ecologia e epidemiologia delle malattie infettive dell’università della Georgia Pejman Rohani e Justin Bahl in una perspective che accompagna lo studio su Science, i punti di interesse della studio sono sostanzialmente due. Il primo è la conferma dell’efficacia delle misure non farmacologiche, e soprattutto della sospensione dei viaggi aerei internazionali, nel ridurre la circolazione dei virus respiratori stagionali. Il secondo riguarda invece le conseguenze a lungo termine che potrebbe avere il periodo pandemico sulla circolazione dei virus influenzali: le modifiche avvenute nei pattern di circolazione e di permanenza nei diversi paesi del mondo dei nuovi ceppi virali potrebbero indicare una maggiore probabilità che emergano nuove varianti locali durante le epidemie annuali di influenza.
In futuro quindi potrebbe rivelarsi più comune un mismatch tra immunizzazioni e virus circolanti, piuttosto che i ceppi scelti per il vaccino annuale non proteggano dai virus che infettano la cittadinanza. Questo, unito al fatto che la cittadinanza mondiale ha un livello più basso del solito di immunità naturale verso il virus, visto che per anni le infezioni sono state pochissime, potrebbe dare luogo in futuro ad annate di influenza particolarmente severe. Qualcosa da occupare a mente, e che richiederà una sorveglianza ancora più attenta da parte degli scienziati e delle autorità sanitarie internazionali.
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di Simone Valesini www.wired.it 2024-11-09 05:30:00 ,