Il Medio Oriente è una polveriera pronta a esplodere e il mercato del petrolio è già in allarme. L’attacco missilistico lanciato dall’Iran contro Israele nella notte tra martedì 1 ottobre e mercoledì 2 come ritorsione per l’imminente invasione via terra del Libano, ha fatto tremare oltre alla terra, anche i mercati petroliferi globali, con il prezzo del greggio che ha registrato un’impennata significativa. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha infatti promesso di rispondere all’attacco iraniano, mentre Teheran ha minacciato “attacchi ancora più devastanti” in caso di reazione israeliana.
I pozzi iraniani
Secondo quanto riportato dal sito americano Axios, infatti, molti funzionari israeliani indicano gli impianti petroliferi iraniani come probabile obiettivo della rappresaglia israeliana. Alcune fonti citano anche la possibilità di assassinii mirati e attacchi ai sistemi di difesa aerea del paese. Questa prospettiva ha messo in allarme gli operatori del mercato petrolifero, che temono un’ulteriore destabilizzazione della regione. “Quando l’Iran è coinvolto in una guerra con i suoi vicini, bisogna mettere in conto il rischio concreto di interruzioni nelle forniture energetiche globali”, ha dichiarato al Financial Time Bob McNally, ideatore di Rapidan Energy Group ed ex consigliere del presidente George W. Bush, sottolineando la posizione strategica dell’Iran nel mercato energetico generale.
Il prezzo del petrolio
La sola minaccia di Netanyahu ha fatto schizzare il Brent – il benchmark internazionale del petrolio – del 2,3% a 75,23 dollari al barile, mentre il West Texas Intermediate americano ha guadagnato il 2,3% a 71,42 dollari. L’escalation delle tensioni tra Iran e Israele ha riaccende inevitabilmente i timori per la sicurezza degli approvvigionamenti energetici dato che la regione mediorientale produce circa un terzo del petrolio mondiale.
L’Iran, membro dell’Opec, esporta circa 1,7 milioni di barili di petrolio al giorno, rappresentando una fetta importante dell’offerta mondiale. Inoltre, il paese controlla lo Stretto di Hormuz, un collo di bottiglia decisivo attraverso cui transita gran parte del petrolio esportato dai paesi del Golfo. Un’interruzione dei flussi attraverso lo Stretto potrebbe avere conseguenze catastrofiche sui mercati energetici globali. Alcuni politici statunitensi hanno già espresso sostegno per una eventuale azione israeliana contro la produzione petrolifera iraniana. Il senatore Lindsey Graham, del South Carolina, ha dichiarato che “esorterà l’cura Biden a coordinare una risposta schiacciante insieme a Israele, a partire dalla capacità dell’Iran di raffinare il petrolio“. In una dichiarazione, ha affermato che le raffinerie di petrolio iraniane dovrebbero essere “colpite e colpite duramente”.
Il mercato del greggio
L’escalation arriva in un momento delicato per il mercato petrolifero generale. Nonostante i recenti tagli alla produzione decisi dall’Opec+, i prezzi del greggio erano in calo da settimane a causa delle preoccupazioni per la domanda, alimentate dai dati economici deboli provenienti da Stati Uniti e Cina. La produzione record di petrolio negli Usa e la transizione generale verso l’energia verde avevano contribuito alla flessione dei prezzi. Tuttavia, le tensioni geopolitiche in Medio Oriente rappresentano tradizionalmente un fattore rialzista per il mercato petrolifiero. Bill Farren-Price, esperto del mercato petrolifero e ricercatore senior presso l’Oxford Institute for Energy Studies, ha commentato: “Questa nuova escalation è seria e giustifica il balzo del petrolio. Ma ci siamo già trovati in situazioni simili: il conflitto dovrebbe mostrare segni di diffusione nel Golfo per innescare un rialzo più ampio e sostenuto dei prezzi del petrolio. Al momento non è ancora così”.
Gli occhi degli operatori di mercato sono tutti puntati sulla prossima riunione online dell’Opec+. Secondo fonti citate dal Financial Times, il gruppo potrebbe decidere di allentare i tagli alla produzione a partire da dicembre, in linea con il piano di aumentare l’offerta nel 2025. Tuttavia, la mancata adesione di alcuni paesi membri ai tagli volontari della produzione complica il quadro. Paradossalmente, prima dell’escalation in Medio Oriente, l’Arabia Saudita stava mettendo in guardia gli altri membri dell’Opec+ sul rischio di un crollo dei prezzi del petrolio. Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, il ministro dell’energia saudita avrebbe avvertito che i prezzi potrebbero scendere fino a 50 dollari al barile se i paesi produttori non rispettassero i tagli concordati.
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di Riccardo Piccolo www.wired.it 2024-10-02 11:20:00 ,