«La guerra ha scosso la Russia di Anna Politkovskaja. Quel silenzio non c’è più»- Corriere.it

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di Paolo Di Stefano

La slavista e scrittrice: «Sono nati appelli, blog e siti internet, c’è la giornalista Marina Ovsyannikova che irrompe con il manifesto “No war”. Putin cercava il suo rilancio e non so come reagirà»

Ha scritto Anna Stepanovna Politkovskaja: «Siamo solo un mezzo per lui. Un mezzo per raggiungere il potere personale. Per questo dispone di noi come vuole. Può giocare con noi, se ne ha voglia. Può distruggerci, se lo desidera. Noi non siamo niente. Lui, finito dov’è per puro caso, è il dio e il re che dobbiamo temere e venerare». La Russia di Putin, ora riproposta da Adelphi, è una denuncia fortissima pagata con la vita.

Serena Vitale, lei sin dal 1968 ha frequentato l’Urss e fino a pochi anni fa è stata in Russia, ha studiato Puskin, la letteratura del Novecento, Majakovskij, Bulgakov, Nabokov, Brodskij…, che cosa ne pensa della giornalista assassinata a Mosca nel 2006?
«Ha avuto un coraggio estremo, persino in guerre piuttosto pasticciate e indecifrabili come quella della Cecenia, dove è andata da sola in un periodo in cui c’erano fazioni di ogni tipo. Lei, russa, va a scoprire le magagne proprio lì, nel paese su cui tutti piangevamo… Si è battuta perché non ammazzassero i ceceni ma soprattutto per i giovani russi mandati a morire come carne da macello».

Succede ancora adesso…
«Esattamente, li vediamo tutti questi giovani di 18, 19, 20 anni con gli occhioni azzurri che non sanno neanche dove si trovano, e che hanno fame e freddo. Politkovskaja scrive pagine molto forti sulla madre di un giovane ufficiale russo caduto all’inizio della seconda guerra in Cecenia nel 2000: questa madre che cerca di sapere che cos’è realmente successo e che si mette a cercare i resti del figlio abbandonati sul campo…».

Che cosa l’ha impressionata di più nella fine della Politkovskaja?
«La cosa ancora più tragica, ma paradossalmente ridicola e pacchiana, è che gli amici hanno fatto a Putin il regalo di compleanno ammazzandola il 7 ottobre 2006 quando lui compiva 54 anni. In questo c’è tutto Putin, anche se magari non sarà stato lui. Mi chiedo come faceva questa donna che scriveva e pubblicava le sue inchieste su “Novaja Gazeta” a uscire di abitazione, andare a fare la spesa, andare a prendere i figli, proseguire diritta per la sua strada come se nulla fosse, senza temere. Io non ne avrei il coraggio, per me è un eroe ma i tempi che creano gli eroi sono tempi orrendi».

Che tipo di lingua è la sua?
«Il suo è un giornalismo di fatti, crudo, secco. Era nata a New York da genitori ucraini ed era abituata a un giornalismo libero, e così è andata avanti, anche raccontando la Russia di Putin, senza concedergli niente: è come se non ci mettesse cuore, ed è la cronaca dell’assurdo che spaventa. Un coraggio impressionante».

Anche Svjatlana Aleksievic è una scrittrice di fatti, di voci e di coraggio.
«È tra le donne più intelligenti che io conosca. Avrebbe anche lei buoni motivi per tremare a ogni compleanno di Putin. Rispetto alla Politkovskaja ha una diversa coscienza stilistica: è più scrittrice, anche perché cerca una più consapevole struttura narrativa, mentre ad Anna Stepanovna sembra venire tutto naturale senza nessuna ricerca, ha la scrittura semplice e pulita del Tolstoj dei Racconti di Sebastopoli, con i suoi cadaveri, le sue mani tagliate, i corpi straziati, tutto. Anche se racconta le teste mozzate, la Politkovskaja non dà mai l’impressione di una pornografia della violenza, e questa è la differenza rispetto a ciò che vediamo a volte in televisione».

Anna Politkovskaja parlava di «sparuti borbottii da cucina» contro il tiranno, chiamando in causa la responsabilità della gente comune.
«Certo, la responsabilità del silenzio, c’era anche quando sono andata la prima volta a Mosca, nel ’68: c’era il terrore e io frequentavo i poeti e gli scrittori del dissenso. D’altra parte, bisogna rendersi conto che se parli ti ammazzano. All’inizio Putin aveva portato soldi, negozi americani, nuovi generi di consumo, era decisamente amato, anche se poi bisognerebbe vedere come venivano contati i voti… …».

Con la guerra è cambiato qualcosa?
«È possibile che Putin abbia voluto questa guerra per azzerare il malcontento che per la prima volta cominciava a vedere nel paese. Io so che la gente non ne poteva più. La guerra è arrivata subito dopo che erano state varate due riforme pesanti: quella che prolungava l’età pensionabile e quella che accorciava la scuola ai giovani militari… La gente era arrabbiata… Forse non è più la Russia del silenzio raccontata dalla Politkovskaja. Si sta crepando tutto… Adesso la guerra ha provocato appelli, blog e siti che magari chiudono il giorno dopo, la giornalista che irrompe nel Tg con il manifesto. E poi ci sono le madri che vanno in piazza per protestare perché hanno mandato i loro figli allo sbaraglio: dopo due minuti non ci sono più, perché certo la differenza delle forze in campo è paurosa, è un sistema mortale applicato ai cittadini».

Che pericoli vede?
«Il mio terrore è che Putin con questa guerra cerchi di segnare il suo rilancio e non voglio pensare a cosa succederà quando si accorgerà che non è possibile. La guerra lampo non gli è riuscita… come può reagire? Non lo so».

Che significato ha il richiamo alla «spazio spirituale»?
«Una cretinaggine, Putin adesso è tutto mistico, fa riti sciamanici… La realtà è che Kiev è la culla della cultura russa, la zona in cui sin dal 4500 a.C. è nata una civiltà urbana matriarcale e pacifica. Dico sempre che se toccano Santa Sofia e il Monastero delle Grotte… lì si sono formate la scrittura, le prime cronache, la cultura russa… tutto era a Kiev… Gogol’ nasce a Sorocynci, poi prende e va a Pietroburgo, come per noi spostarsi da Roma a Milano. Era tutto unitario e coeso».

E adesso perché questo odio?

«I guai sono cominciati con la rivoluzione bolscevica, durante la guerra civile del 1918-19, come racconta Bulgakov ne La guardia bianca, quando l’Ucraina cambia ogni cinque minuti potere… È un periodo da cui l’Ucraina esce sconvolta. Anche perché da Odessa passavano tutti i bianchi che non volevano aderire al potere sovietico e che volevano emigrare. Solo da lì si poteva scappare, non certo dalla Finlandia, Nabokov è passato da lì… E questo non gliel’hanno mai perdonato».

E la «denazificazione»?
«Nel 1932-33 ci fu il Kolodomor, il genocidio per fame voluto da Stalin: essendo l’Ucraina il granaio d’Europa, la collettivizzazione forzata raggiunse dimensioni di violenza spaventose. Al confronto quello che si legge nella Politkovskaja è niente: ci furono episodi di cannibalismo dei genitori sui figli… Veniva requisito il cibo e si vedevano fantasmi che camminavano nelle strade piene di cadaveri. Quando arrivarono i tedeschi furono accolti come dei liberatori, ecco perché lui parla di denazificazione… Ma fu una questione di pane, non di ideologia».

È giusto chiamare Putin lo zar?
«Ovviamente gli zar erano tutti autocrati, ma ce ne furono di pessimi e sanguinari come Ivan il Terribile, e ci furono i costruttori. Anche le guerre di invasione spesso erano guerre di costruzione non di annientamento. Puskin quando doveva scrivere di Pietro il Grande si fermò. Disse: non ho la forza di capire questo incrocio tra crudeltà di palazzo e grandezza del progetto…».

23 marzo 2022 (modifica il 23 marzo 2022 | 22:47)



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Paolo Di Stefano , 2022-03-23 22:04:07
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