La formula del franchise è rispettata, in linea di massima, ma Patrick Wilson, che è perfetto come protagonista (oltre a Insidious recita anche nell’altro franchise dell’orrore, quello di The Conjuring – L’evocazione) non lo è come regista. È goffo e maldestro, rende il passaggio al mondo dell’altrove così frequente e ordinario da diventare quasi mondano, sottraendogli così tutta la tensione e la paura. Inoltre fatica a gestire gli snodi di relazione dei personaggi. Ad esempio, inevitabilmente ad un certo punto padre e figlio saranno portati a ricordare ciò che con l’ipnosi avevano dimenticato e quando questo avviene (quando cioè si rendono conto di essere stati al centro di eventi demoniaci) il primo ci crede senza grossa fatica e reagisce con controllo, come fosse il resoconto di una giornata al mare.
Sono tutte sbavature di tono, controllo e coerenza del film che gli levano forza, che smontano la costruzione della tensione, inficiando poi anche tutta la parte di paura. Sia chiaro, la fattura generale rimane buona, Insidious è una macchina avviata, ma è proprio tutta la gestione di questo film che sembra farlo finire facilmente fuori dai binari e nel territorio del maldestro. Lo si vede nella rappresentazione visiva del maligno, sempre più ridicola, ma soprattutto lo si nota nella lettura di fondo. Sia padre che figlio, posseduti da questi demoni, in passato e in questo film diventano violenti e si scagliano su bambini e donne. Sembrano la rappresentazione delle violenze domestiche, e anche il fatto che questo atteggiamento passi dall’uno all’altro, fa subito pensare che quello sia il riferimento.
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di Gabriele Niola www.wired.it 2023-07-05 12:00:00 ,