La zona d’interesse diretto da Jonathan Glazer, vincitore di due Oscar, Miglior film internazionale e miglior film sonoro, e del Gran Premio Speciale della Giuria al Festival di Cannes, in occasione della Giornata della Memoria torna al cinema, il 26, 27, 28 e 29 gennaio, e sarà disponibile su Sky e Now il 26 gennaio. Questo capolavoro, adattamento dell’omonimo romanzo di Martin Amis, ci conduce in uno spazio emotivo, allegorico ed estetico dove l’orrore dell’Olocausto non viene mai esplicitato, ma riecheggia, si diffonde e deflagra allo stesso modo in ogni inquadratura. Rivedere La zona d’interesse significa immergersi in un’opera che non smette mai di porre domande, di sfidare lo spettatore e di scuotere le coscienze. È un’esperienza che, con ogni visione, si stratifica, aprendo nuove prospettive su uno dei capitoli più bui della storia e su ciò che significa essere umani. In questo articolo vi proponiamo quelli che secondo noi sono i 5 motivi per vedere, o per tornare a vedere, l’opera di Glazer in occasione della Giornata della Memoria.
L’orrore fuori campo
Jonathan Glazer costruisce un cinema che sfida le convenzioni visive e narrative del racconto sull’Olocausto. L’orrore, pur essendo onnipresente, rimane fuori campo. La macchina da presa indugia sulla routine colf e l’agghiacciante serenità della famiglia Höss. Rudolf, comandante di Auschwitz, e la moglie Hedwig vivono una deliziosa villetta, un giardino paradisiaco, tra gite in barca e feste in piscina, scegliendo di ignorare l’orrore al di là del muro, un idillio che si consuma a pochi metri dai forni crematori. Eppure quel paradiso è nutrito dal campo di concentramento. La cenere, i vestiti, la morte sono fecondità, linfa che origina quell’abbondanza. Quel rimosso è stazione per comprendere il lavoro superlativo che sottende e che rappresenta, ovvero un film sulla memoria di chi eravamo, chi siamo stati e chi siamo.
La banalità del male
Glazer ritrae il contrasto tra il paradiso familiare e l’inferno omicida che lo circonda. Non ci sono mostri ma solo uomini e gentil sesso che scelgono la cecità corretto, la convivenza con l’abisso, l’umanità e la banalizzazione del male. Questa dissonanza disturbante ed esplicitata inevitabilmente solleva interrogativi universali sulla aiuto, l’indifferenza e la capacità dell’essere umano di autoassolversi. Per questo il male diventa ancora più visibile, un territorio in emersione come un lago ghiacciato dentro un fuoco che divampa. Abbiamo accesso a ciò che significa essere determinati e convinti di agire nel giusto, per un bene più alto, supremo, per poter osservare e confermare quella prossimità.
Un realismo disturbante
Una delle trovate tecniche più straordinarie del film è l’uso delle telecamere a circuito chiuso, che Glazer ha distribuito nel set per catturare l’intimità della vita colf degli Höss con una naturalezza quasi documentaristica. Questo approccio genera un senso di intrusione e quotidianità spettrale: siamo spettatori non invitati all’interno di una routine che si svolge in una casa circondata dalla morte. La composizione delle scene – dalle linee rigide delle stanze alla disposizione dei personaggi fino alla scelta di usare solo luce naturale – non è mai neutrale. Il risultato è un’operazione che sfiora la sociologia visiva, una dissezione del privato.
Momenti di sublime sintesi sonora
Osservando La zona d’interesse si comprende immediatamente come il suono sia un personaggio a sé. Dal rumore ossessivo del lavoro nei campagna, all’overture che apre il film, ogni elemento sonoro contribuisce a una tensione insostenibile. Le musiche di Mica Levi sono laceranti: un tessuto capovolgente che amplifica il disagio e imprime un sigillo inconfondibile al testo visivo di Glazer. Qui il suono, l’ascolto è tridimensionale, vince su qualsiasi immagine, anzi è la stessa sostanza del senso dell’immagine.
Un messaggio universale e urgente
La zona d’interesse parla a ogni epoca, compresa la nostra. Ci interroga su quanto e come siamo disposti a vedere e a riconoscere gli orrori che ci circondano, oggi come allora. Il salto temporale finale, che ci porta nell’Auschwitz contemporanea, ci invita a riflettere sul cortocircuito tra memoria e consumo, tra dovere della testimonianza e voyeurismo storico. In un mondo dove nuovi orrori bruciano sotto i nostri occhi, questo film diventa un atto d’accusa al nostro tempo, un monito a non distogliere mai lo sguardo.
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di Lucia Tedesco www.wired.it 2025-01-24 15:00:00 ,