Sebbene M. mycoides JCVI-syn3B possa crescere e replicarsi in condizioni di laboratorio, i ricercatori del nuovo studio volevano capire come la cellula sintetica potesse rispondere alle forze dell’evoluzione nel tempo, in particolare come la selezione naturale così come nuove mutazioni potessero operare. “Ogni singolo gene nel suo genoma è essenziale”, spiega Lennon. “Si potrebbe ipotizzare che non ci sia spazio di manovra per le mutazioni, che potrebbero limitare il suo potenziale di evoluzione”. Al contrario, i ricercatori hanno scoperto un tasso di mutazione eccezionalmente alto.
Infatti, coltivandolo in laboratorio, dove si è evoluto liberamente per 300 giorni (equivalenti a 2000 generazioni batteriche o circa 40mila anni di evoluzione umana), i ricercatori lo hanno poi confrontato con il M. mycoides originale e com un ceppo di cellule minime che non si erano evolute per 300 giorni. Dalle analisi è emerso che il batterio sintetico è riuscito a recuperare efficacemente tutta la fitness, ossia la capacità riproduttiva, che aveva perso a causa della semplificazione del genoma. I ricercatori, inoltre, hanno identificato i geni che sono cambiati di più durante l’evoluzione: sebbene la maggior parte delle loro funzioni rimane ancora sconosciuta, spiegano gli esperti, alcuni di questi sono coinvolti nella costruzione della superficie della cellula.
Comprendere in che modo gli organismi con genomi semplificati superino le sfide evolutive, concludono gli esperti, ha importanti implicazioni per alcuni aspetti della biologia, tra cui il trattamento dei patogeni, il perfezionamento dei microrganismi ingegnerizzati e l’origine della vita stessa. In altre parole, concludono i ricercatori, lo studio dimostra il potere della selezione naturale di ottimizzare rapidamente la fitness nell’organismo autonomo più semplice, ossia che la vita trova sempre una strada.
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di Marta Musso www.wired.it 2023-07-06 10:21:14 ,