Le differenze tra le tre varianti del virus che spaventano il mondo

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AGI – La variante inglese del virus “sembra causare un innalzamento della mortalità”. È stato l’allarme lanciato ieri dal primo ministro del Regno Unito, Boris Johnson, anche se i dati scientifici in realtà non vanno in questa direzione e ancora parlano di maggiore contagiosità ma non di maggior letalità. 

In giorni ancora cruciali per la battaglia contro il Covid e per la campagna vaccini, iniziata simbolicamente il 27 dicembre in tutta Europa ma già alle prese con i rallentamenti dovuti alla mancanza di dosi della Pfizer, a destare preoccupazione ci sono anche le varianti del coronavirus.

Da quando, infatti, il virus Sars-Cov-2 ha fatto la sua comparsa sono state registrate migliaia di varianti, ma sono tre in particolare quelle scoperte nell’ultimo periodo che hanno destato non pochi timori da parte della comunità scientifica. Sono le varianti inglese, sudafricana e brasiliana. Ecco tre brevi profili  delle varianti che stanno preoccupando il mondo.

VARIANTE INGLESE. È la prima ad aver allarmato la comunità scientifica, a causa delle numerose alterazioni a livello genetico che la caratterizzano. Si chiama B.1.1.7 e, secondo gli scienziati, ha avuto origine nel Sud-Est dell’Inghilterra a settembre. Si è diffusa molto in fretta da novembre in poi. Le alterazioni che caratterizzano questa variante sarebbero almeno 23, 14 delle quali localizzate sulla proteina spike, la ‘chiave’ d’ingresso del virus nella cellula. Stando alle osservazioni degli studiosi, questa variante presenta maggiori capacità di legarsi al recettore ACE-2 umano e pertanto rende più semplice la propagazione del virus. I primi dati indicano che probabilmente è più contagiosa, ma non più virulenta. E sembra possa essere neutralizzata dagli attuali vaccini anti-Covid.

VARIANTE SUDAFRICANA. Si tratta della versione ‘501.V2’ di Sars-CoV-2, individuata i primi di ottobre. Pare abbia iniziato a dominare molto rapidamente in Sud Africa. A metà novembre, ‘501.V2’ rappresentava il 90% dei genomi sequenziati dagli scienziati sudafricani. I dati genomici ed epidemiologici suggeriscono che, come per la variante inglese, anche questa sudafricana sia più contagiosa ma non più pericolosa. Nel complesso la variante conta 21 mutazioni, nove delle quali concentrate nella spike. Ma anche in questo caso gli scienziati concordano che i vaccini anti-Covid dovrebbero essere efficaci.

VARIANTE BRASILIANA. È la variante  B.1.1.28 riscontrata più recentemente in un caso di reinfezione: un’infermiera 45enne si è ri-ammalata con questa nuova variante 5 mesi dopo essersi ripresa da una precedente infezione causata da un ceppo più vecchio. Nella seconda infezione i sintomi della donna sono peggiorati. Questa variante contiene mutazioni preoccupanti: una, in particolare, cambierebbe la forma della proteina spike all’esterno del virus in un modo che potrebbe renderla meno riconoscibile al sistema immunitario rendendo più difficile il compito degli anticorpi. Si sta studiando se questa variante possa rendere inefficaci gli attuali vaccini.

“Non ci sono prove che siano più dannose”

Nei giorni scorsi Antonio Mastino, microbiologo associato all’Istituto di farmacologia traslazionale del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ift) e già docente di Microbiologia presso l’Università di Messina, ha spiegato all’AGI che “le varianti e le mutazioni di SARS-CoV-2 attualmente in circolazione da un lato rappresentano una fonte di preoccupazione per via della più elevata capacità di trasmettersi tra gli individui, ma dall’altro – ha sostenuto – dobbiamo ricordarci che la mutazione è un processo naturale degli agenti patogeni e che, sulla base delle conoscenze attuali, nessuna di queste varianti sembra amplificare la patogenicità del virus”.  

Il fattore più allarmante, invece, per quanto ne sappiamo ad ora, riguarderebbe solo la possibilità di trasmissione. “Il pericolo è legato al fatto che se il virus raggiunge più persone – ha spiegato Mastino – aumentano le probabilità che raggiunga gli individui più vulnerabili, ma la variante in sé non rappresenta un motivo di preoccupazione più elevato a livello di patogenicità. Non abbiamo dati che supportino l’idea che le varianti inglese, brasiliana o sudafricana siano più dannose per chi le contrae. È importante, però  – ha proseguito – proseguire gli studi e prendere tutte le precauzioni possibili, anche perché la maggiore efficienza di penetrare nell’organismo può far sì che l’infezione si trasmetta anche in soggetti precedentemente meno vulnerabili, come i bambini e i più giovani, cosa che stiamo osservando nell’ambito di questi nuovi ceppi”. 

Per Mastino, inoltre, sulla base delle considerazioni scientifiche attualmente disponibili, le varianti identificate finora dovrebbero essere comunque sensibili ai vaccini già sviluppati e in corso di impiego. “Ovviamente l’efficacia delle campagne vaccinali è legata alla tempestività con cui vengono portate a termine – ha concluso – più è rapida l’immunizzazione generale della popolazione e minore è la probabilità che emergano varianti resistenti. Per questo è fondamentale mantenere alto il livello dell’attenzione e accelerare le tempistiche delle campagne di vaccinazione a livello globale”.

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