Mezzogiorno, 22 gennaio 2022 – 07:38
di Enzo d’Errico
Che a Vincenzo De Luca la libera stampa non faccia n caldo n freddo, cosa risaputa. La considera meno di zero al pari di tutti gli altri strumenti della democrazia: le norme dello Stato centrale (spesso bollate come buffonate, se non peggio), l’opposizione politica, il bilanciamento dei poteri, l’opinione pubblica e via di seguito. Esiste una sola legge: la sua. Esiste una sola verit: la sua. Il nostro giornale sottolinea da anni che ridurre un personaggio del genere a macchietta folcloristica, in stile Crozza, un grave errore politico. Come pensare che sia possibile avere con lui un dialogo tra pari, giustamente rispettoso del reciproco ruolo istituzionale. De Luca non sa governare, arte che prevede la mediazione degli interessi in nome del bene collettivo. Sa soltanto comandare, una declinazione volgare e autoritaria dell’investitura popolare. Il suo copione non prevede altri protagonisti che s stesso: appena qualcuno lo affianca in scena o, peggio ancora, recita una battuta a lui sgradita, lo sbatte fuori a calci nel sedere (tanto per usare una delle sue espressioni pi candide). Attraverso un fitto reticolo di nomine e prebende riesce a comprare tanti, non tutti per fortuna.
E quando il suo potere d’intimidazione cade nel vuoto, perde la testa e cerca disperatamente una vendetta, anche trasversale. Affidandola, il pi delle volte, ai suoi sgherri. Ma non basta. Un giorno s e l’altro pure insulta premier e ministri, compresi quelli del suo (presunto) partito, colpevoli soltanto di non aver seguito il modello Campania, una sorta di Shangri-La cui il mondo non presta la dovuta attenzione. Perfino uno come Salvini, al suo confronto, assume dimensioni da statista, trasfigura nell’empireo di chi ha a cuore l’interesse generale. D’altronde, assimilare oggi De Luca ai valori della sinistra sarebbe come dire che il Napoli comprer Messi durante il mercato di gennaio. Soltanto il Pd, locale e nazionale, finge di non saperlo e si tiene gli schiaffoni che il governatore gli molla a pie’ sospinto mormorando sulla scia di Tot: E che mi frega a me, che so’ Pasquale io?.
Detto ci, non sorprende quanto sta accadendo in queste ore al Teatro San Carlo. Il Corriere del Mezzogiorno , da giorni, denuncia il taglio dei fondi (circa 4 milioni in meno) inflitto da Palazzo Santa Lucia alla vigilia del bilancio di previsione, mettendo a rischio il calendario degli eventi artistici e la stabilizzazione del corpo di ballo. Sembrava una vicenda incomprensibile, considerato lo straordinario successo di critica e di pubblico finora riscosso dalla stagione allestita dal sovrintendente Stphane Lissner, uno dei big nel panorama dei teatri lirici europei. Invece ieri, durante il suo tradizionale soliloquio televisivo del venerd, il presidente della Regione ha finalmente compiuto un’operazione di verit che chiarisce i contorni di quest’oscura vicenda. Attenzione: sappiamo bene che in epoca Covid esistono problemi ben pi drammatici delle questioni culturali ma riteniamo che questa storia racconti pi di tante altre la sfrontata prepotenza di chi amministra la nostra terra. Ecco perch ce ne occupiamo.
La verit, illustrata senza ulteriori infingimenti, che il governatore vuole impadronirsi del San Carlo, farne un luogo dove lui a decidere chi deve guidare la macchina, sia dal punto di vista artistico che manageriale. E, nonostante non spetti a lui ma al Mic, ha pure la soluzione gi pronta: scalzare gli attuali vertici – compresa la direttrice generale Emmanuela Spedaliere – per sostituirli con persone di sua fiducia affiancate da Riccardo Muti, che a dir poco detesta Lissner. Nessuno sa se il maestro Muti sarebbe davvero disponibile a un’operazione del genere. Il presidente sostiene di s e prendiamo per buone le sue parole. Questo, insomma, l’oggetto del contendere. Giusto? Sbagliato? Ciascuno pu avere la sua opinione ma di altro che stiamo parlando. Ci che interessa qui la sequenza di fake news con le quali Vincenzo De Luca (o chi gli ha scritto le note sulla vicenda) ha infarcito la sua cosiddetta operazione verit, a partire dall’uso della parola ricatto adoperata per spiegare che la Regione non tollerer pi una gestione autonoma ispirata al criterio tanto poi i fondi pubblici arrivano comunque.
De Luca finge di ignorare che quei soldi non appartengono a lui ma all’intera collettivit perch provengono dalle nostre tasche, non dalle sue. lui, quindi, ad esercitare un ricatto su un’istituzione che rappresenta il cuore dell’identit culturale di Napoli e dell’intera Europa, usando come forma di pressione il denaro dei contribuenti. C’ poi il capitolo che riguarda Emmanuela Spedaliere, accusata (senza mai farne il nome) di ricoprire il suo incarico in modo illegittimo e di essersi aumentata lo stipendio a 150mila euro lordi l’anno. Sul primo punto gli hanno gi risposto il ministero della Cultura – ente vigilante per statuto – e il collegio dei revisori dei conti, dichiarando nulle le eccezioni della Regione. Ma, noto, per il governatore conta esclusivamente quel che dice lui e pertanto ha giudicato imbarazzanti tali pareri, aggiungendo che il consiglio d’indirizzo non mai stato informato della nomina. Nemmeno sa (e almeno i suoi tecnici farebbero bene a informarsi) che lo statuto del San Carlo assegna esclusivamente al sovrintendente la scelta delle figure apicali, il quale non tenuto in alcun modo a consultare prima il cdi. Inoltre, Spedaliere ricopre quel ruolo da quasi due anni (era gi stata assunta a tempo indeterminato) senza che la Regione abbia mai sollevato un’obiezione. Perch De Luca se ne accorge soltanto adesso? E se vero, come ha detto, che questa gestione stata caratterizzata da marchette, abusi d’ufficio e conflitti d’interessi, perch non si rivolto alla Procura della Repubblica invece che alla Corte dei Conti?
Stupisce, comunque, che a invocare il rispetto della legge sia uno che vanta un pregiudicato e ben due condannati per reati gravi fra i suoi pi stretti collaboratori. Sulla questione dello stipendio, addirittura, si scivola nel grottesco: a parte l’uso strumentale e populistico della pandemia per cui, a suo avviso, non potrebbero essere tollerati emolumenti di tale livello mentre la gente soffre (Salvini, al confronto, un dilettante della demagogia), il governatore conosce l’ammontare degli stipendi dei dirigenti regionali, compresi quelli che gli scrivono i canovacci delle sue performance televisive? Altro che 150mila euro lordi l’anno, si va ben oltre. E per quale motivo, allora, un manager del San Carlo, non di un teatrino di provincia, dovrebbe incassare meno? Al di l di un ipotetico cambio di guardia, quel che sappiamo, per il momento, che Stphane Lissner ha riportato a Napoli il gotha mondiale della lirica senza mandare gambe all’aria i bilanci: voci come quelle ospitate negli ultimi mesi, non si ascoltavano qui da una vita. Ma parigino e De Luca ha spiegato di non sopportare che ci sia un francese alla guida del nostro Massimo quando al suo posto potrebbe esserci un napoletano qual il maestro Muti (Salvini, nel raffronto, diventa un sovranista all’acqua e sapone).
Dunque, al grido di prima i napoletani, comincino a preparare le valigie anche Sylvain Bellenger, direttore di Capodimonte, e Gabriel Zuchtriegel, che guida gli Scavi di Pompei. L’ultima fake news , poi, la pi grossa. Il governatore ha sostenuto che, in una galassia a sua immagine e somiglianza, a presiedere il consiglio d’indirizzo non dovrebbe essere il sindaco ma chi mette pi soldi. Ergo, lui. Lasciamo stare l’ennesima conferma che, secondo De Luca, i fondi pubblici costituiscono una specie di patrimonio personale da investire a proprio piacimento, il problema che se pure applicassimo questa regola tipica di qualunque autocrazia, a dirigere il San Carlo non sarebbe lui ma il ministero della Cultura che stanzia una cifra immensamente superiore a quella della Regione che, tra l’altro, eroga decisamente meno di quanto facevano Bassolino e Caldoro. Talvolta sarebbe meglio tacere se non si sa ci di cui si parla. O se si stati informati male.
22 gennaio 2022 | 07:38
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, 2022-01-22 06:38:51
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