L’ultima estate del fair play finanziario

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Gianluigi Donnarumma, Kylian Mbappé, Georginio Wijnaldum e Sergio Ramos hanno tre cose in comune. Le loro nazionali hanno partecipato a Euro 2021. Sono calciatori di altissimo livello. E giocano per il Paris-Saint-Germain, la squadra che quest’anno ha vinto poco in campo, una misera Coppa di Francia, e tutto fuori.

Se il calcio è una continuazione della guerra con altri mezzi, bisogna dare atto al club parigino che i dieci anni di controllo qatariota sono ricchi di trionfi. L’ultimo è il più importante e ha fornito al club guidato da Nasser Al-Khelaifi, ex compagno di doppio dell’emiro Tamim bin Hamad Al-Thani e suo diretto fiduciario, un lasciapassare speciale per iniettare montagne di liquidità in un sistema messo a dura prova da mesi di chiusura degli stadi per Covid-19.

L’ex tennista di Doha, 48 anni, ha dato un contribuito fondamentale al fallimento della Esl (European super league) tenendosi ai margini dei dodici scissionisti guidati da Andrea Agnelli (Juventus) e Florentino Pérez (Real Madrid). La remunerazione politica non ha tardato.

Il presidente dell’Uefa Aleksander Ceferin ha lodato in pubblico gli oligarchi arricchiti dal gas naturale che hanno a cuore l’anima popolare del calcio. Subito dopo il tramonto dell’Esl tra polemiche, minacce di sanzioni sportive e una causa di Pérez contro l’Uefa in pieno corso alla corte di giustizia europea del Lussemburgo, Al-Khelaifi ha conquistato la guida dell’Eca. L’associazione è una sorta di Confindustria composta da 246 club europei e presieduta da Agnelli prima della Waterloo dello scorso aprile. Alla vicepresidenza c’è il frugale Kalle Rummenigge (Bayern Monaco) che alla Superlega e alle follie da calciomercato si è sempre opposto.

FAIR PLAY SARÀ LEI
In attesa che i giudici dell’Ue si pronuncino sul ricorso per abuso di posizione dominante, il Psg sta facendo strame di quanto resta del fair play finanziario Uefa (Ffp). Il club controllato dalla Qia (Qatar investment authority) ha messo in campo un budget acquisti da 180 milioni di euro alla faccia della pandemia e dell’eterna geremiade sul calcio in crisi con annessa richiesta di ristori a fronte di 2 miliardi di perdite nei cinque principali campionati d’Europa (Inghilterra, Spagna, Italia, Francia, Germania).

Il tesoretto di Al-Khelaifi è già stato speso per due terzi con l’ingaggio di Donnarumma, del capitano olandese Wijnaldum e dello spagnolo Ramos, che solo un infortunio ha escluso dall’Europeo, e con l’arrivo dall’Inter del marocchino Achraf Hakimi. En passant, il Psg ha rinnovato il contratto di Neymar junior a quota 36 milioni di euro netti all’anno. Mbappé, messo a dura prova dalle figuracce di Euro 2021, ha a lungo minacciato di andarsene a parametro zero alla fine della stagione 2021-2022 ma la sua presenza potrebbe persino essere superflua in una rosa pletorica. Del resto, i campioni non sono mai troppi, potendo spendere. L’anno prossimo Al-Khelaifi e il suo staff, gestito sul piano sportivo dal brasiliano ex Milan Leonardo de Araújo, puntano a sfatare il tabù della vittoria in Champions league. Sarebbe un biglietto da visita ideale per il mondiale invernale in Qatar, in partenza il 21 novembre 2022.

Gli uomini dell’emiro Al-Thani hanno mostrato che possono perdere qualche partita ma nella diplomazia del calcio internazionale non sbagliano un colpo. L’assegnazione del torneo sportivo che attrae la maggiore platea globale alla pari, se non più, dei giochi olimpici è avvenuta con una serie di manovre spregiudicate nel 2010, pochi mesi prima che la Qia comprasse il Psg. Due anni fa il Qatargate è costato l’arresto all’ex numero uno dell’Uefa Michel Platini, l’uomo che, ironia della sorte, ha promosso e applicato il fair play finanziario.

Inoltre a novembre del 2018 il consorzio dei Football leaks, di cui fa parte anche l’Espresso, ha rivelato che l’allora segretario generale dell’Uefa, lo svizzero di origini italiane Gianni Infantino, attuale numero uno della Fifa, aveva rivelato informazioni confidenziali ai dirigenti del Psg e di un altro big spender, il Manchester City controllato dagli emiri di Abu Dhabi Al-Nahyan, per evitare ai due club i rigori del Ffp che altre squadre (il Malaga di proprietà qatariota, il Milan, la Stella Rossa Belgrado, la Dinamo Minsk e il Galatasaray fra gli altri) non sono riuscite a evitare.

RICCHEZZA INSOSTENIBILE
Il paradosso del Ffp è che, pur essendo morto, non è ancora sepolto e fa sentire le sue conseguenze disciplinari in attesa che l’Uefa fissi le regole di un nuovo modello da qui alla fine dell’anno. Di sicuro l’obbligo del pareggio contabile finirà nella spazzatura della storia. Alla guida del brain trust che sta disegnando i nuovi parametri di bilancio c’è il genovese Andrea Traverso, 49 anni. Riservato e ben integrato nell’apparato di Ceferin, Traverso guida la direzione sostenibilità finanziaria e ricerca della federcalcio continentale, un leviatano con 55 iscritti che va ben oltre i confini politici dell’Europa e accoglie paesi come l’Armenia, l’Azerbaijan, il Kazakhstan e Israele.

Che cosa intenda il Paris-Saint-Germain per sostenibilità, abracadabra del discorso economico contemporaneo, è presto detto. Finché il Ffp stabiliva che non si dovesse spendere più di quanto si incassava, i club sostenuti dalle ricchezze illimitate delle materie prime e spalleggiati da stati non esattamente democratici hanno gonfiato i ricavi. Il Psg lo ha fatto in modo spettacolare. Il club che gioca al Parco dei principi, stadio immerso nella zona chic del Bois de Boulogne da non confondere con lo Stade de France, piazzato sul boulevard périphérique al confine con la banlieue più difficile della capitale, ha goduto di sponsorizzazioni per centinaia di milioni all’anno da parte di entità governative fra le quali la Qatar tourism authority (Qta) e il Qsi (Qatar sports investments).

Per quanto riguarda il sostegno alla squadra parigina, che nel 2012 presentava un fatturato di 222 milioni di euro e nel 2019 era arrivata quasi a triplicare i ricavi (638 milioni), si calcola che nel decennio di gestione qatariota il club abbia incassato 1,8 miliardi di euro di introiti da parti correlate mentre le sanzioni dell’Uefa sono sempre rimaste lettera morta. Nell’ultimo bilancio disponibile (2019-2020) chiuso con 126 milioni di perdite e 405 milioni di stipendi l’anomalia risulta evidente. Mentre i club di prima serie in Europa possono dipendere dai diritti tv fino a tre quarti dei ricavi, metà degli incassi dei blu di Parigi arriva dal settore commerciale. Per esempio, la sola Qta ha versato 215 milioni in un anno per quello che viene chiamato “nation branding”. Il Psg sarebbe un testimonial per accrescere il fascino della nazione del Golfo. Ma secondo una perizia indipendente della Octagon worldwide, una delle maggiori agenzie sportive del mondo, il reale ritorno del contratto Qta non vale più di 5 milioni di euro per il turismo qatariota.

In parallelo al maquillage contabile del Psg, il network BeIn, specializzato in eventi sportivi e guidato dallo stesso Al-Khelaifi, ha investito pesantemente nei diritti tv. Fra le poche battute d’arresto c’è l’ultima asta per la Ligue 1, la serie A francese, che due settimane fa i qatarioti in consorzio con Canal+ del gruppo Vivendi hanno perso contro Amazon. Il rovescio è stato compensato dall’accordo firmato dalla pay-tv di Al-Khelaifi che ha portato 500 milioni di euro nelle casse dell’Uefa in cambio dei diritti per trasmettere le competizioni europee nel Medio Oriente e in Nord Africa.

DIPLOMAZIA ALTERNATIVA
Lo scorso 28 aprile si è giocata la semifinale di andata Psg-Manchester City per la Champions league, il torneo rivale della Superlega annunciata dieci giorni prima. A quel punto, l’Esl era già stata sommersa dalla reazione di un fronte alquanto eterogeneo composto da federazioni, tifosi di base e miliardari più opportunisti di un centravanti d’area.

Il City degli Al-Nahyan di Abu Dhabi ha eliminato il Psg e perso la finale contro il Chelsea di Roman Abramovic, un altro club che ha speso l’impossibile nella scorsa stagione. Con le regole vecchio Ffp il City non avrebbe dovuto partecipare alla Champions. Ma a luglio del 2020 il Tas di Losanna, lo stesso tribunale dello sport che ha da poco respinto il ricorso del marciatore italiano Alex Schwazer contro la squalifica per doping, ha sentenziato che lo sceicco Mansur bin Zayed Al-Nahyan non è colpevole di doping finanziario.

Il City ha fatto parte dei dodici della breakaway league ma ha avuto un ruolo importante nella fine dell’avventura perché è stato il primo degli scissionisti a tirarsi indietro e a scatenare un effetto a catena di defezioni fino alla resa finale. Voci di corridoio in Uefa dicono che l’asse Mansur-Khelaifi funziona meglio di quanto sarebbe logico pensare. Fra i celesti di Manchester e i blu di Parigi ci dovrebbe essere una rivalità che va ben oltre i tiri in porta. Qatar ed Emirati arabi fanno parte di due schieramenti opposti sul quadrante geopolitico del Golfo. Gli Al-Thani sono in buoni rapporti da sempre con l’Iran e con la Russia, mentre gli Al-Nahyan sono alleati degli Stati Uniti e dei sauditi, che con Teheran hanno relazioni tese da decenni. Evidentemente i gemellaggi nel calcio seguono logiche diverse.

Sul fronte dell’Uefa Ceferin, dopo la rottura traumatica con il suo mentore, grande elettore ed ex amico Agnelli, ha bisogno della coppia Mansur-Khelaifi per rinnovare la sua rete di sostegno in attesa che, a giorni, la corte di giustizia dell’Ue decida se il ricorso di Pérez è ammissibile. Se non lo è, l’Uefa avrà vinto una battaglia decisiva per il suo futuro immediato. Se invece il ricorso sta in piedi, inizia una controversia che può essere distruttiva per la federcalcio continentale e, potenzialmente, per l’intero sistema.

Può sembrare curioso che un tribunale dell’Unione sia chiamato a giudicare su un sistema ormai dominato da capitali targati Usa, Eau, Qatar, Russia. In ogni caso a Parigi attendono il verdetto con un certo distacco. Comunque vada, i miliardi del Psg faranno comodo a tutti.



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