“Cosa fa di un fascista un fascista rispettabile? Passare dalla violenza gratuita alla violenza calcolata.”
La miniserie, diretta da Joe Wright, tratta dall’omonimo romanzo (già Premio Strega) di Antonio Scurati, narra la storia dell’ascesa al potere di Benito Mussolini, dalla fondazione dei Fasci italiani di combattimento del 1919 al predicozzo in Parlamento del 3 gennaio 1925.
La serie, in anteprima all’81 esibizione d’Arte Cinematografica di Venezia, vede come protagonista un magistrale Luca Marinelli nel ruolo di M.
Episodio dopo episodio entriamo nel vivo di una commedia cupa e vertiginosa, che mette a fuoco il silenzio connivente di chi non ha potuto, ma soprattutto di chi non ha voluto contrastarlo.

Grottesco, violento, sfrontato ma anche nevrotico e impacciato. Mussolini è un personaggio dai mille volti, uno diverso per ogni occasione e per ogni fase del fascismo, fina dalla sua nascita.
L’antipolitica con i mutilati di guerra
Lo sguardo in camera è la scelta stilistica che rende la serie un vero capolavoro, riportando sullo schermo tutta la forza comunicativa e abnorme di cui M. era dotato per piegare le masse.
Con la rottura della quarta parete, il ritmo della narrazione si fa incalzante, generando un vortice che cattura il pubblico, a contatto diretto con un protagonista che parla e ammicca, confidando allo spettatore le sue strategie e il perché delle scelte che compie.
La voce retorica, la virilità ostentata, l’ideologia misera, sono tutte doti del futuro dittatore che l’attore utilizza per costruire un ritratto caricaturale, ma comunque umano. Mussolini non viene descritto come il mostro esaltato e feroce, piuttosto come l’uomo calcolatore e trasformista (anche debole), che si avvale dell’antipolitica per sovvertire il sistema liberale, guidando un gruppo di emarginati e violenti bisognosi di un capo e di una missione. Proprio così, il futuro duce si serve degli sgherri, dei mutilati della prima guerra mondiale, per prendere il controllo su una nazione, devastata dalla miseria e dalla volontà di riscatto, fomentando l’odio sociale.

M. esibizione una facciata di rispettabilità ed è in continuo movimento per tentare di occultare la violenza bestiale degli squadristi che lo circondano, responsabili delle violenze di piazza, armati di manganelli e olio di ricino. Vediamo, infatti, fanatici spietati, aggressioni squadriste e canti socialisti repressi nel sangue. Una violenza cieca e balorda che ben conosciamo.
Giornalista e direttore del Popolo d’Italia, Mussolini sfrutta le sue doti comunicative per plasmare l’informazione a suo vantaggio e manipolare l’opinione pubblica. Stringe alleanze con l’industria, la casa reale e i vili rappresentanti del tempo, suoi complici, pur di non vedere intralciato il suo potere. Nell’intimità incarna il modello squallido del “maschio italico“: bugiardo, stupratore e padre di famiglia inaffidabile.
La famiglia, un’altra mera facciata che diventerà poi lo strumento sociale di proselitismo dei suoi discendenti.

Un monito per il futuro e per il presente
M – Il Figlio del Secolo è una serie che immerge lo spettatore in un’ambientazione cupa e teatrale, unendo l’atmosfera di una Londra anni ’20 agli studi di Cinecittà. Un’estetica che amplifica il senso di inquietudine, facendo da cornice perfetta alla narrazione dell’ascesa del fascismo.
Fin dal suo esordio, il fascismo si è presentato come un movimento in grado di parlare a tutti, rivoltoso e anticlericale da un lato, rassicurante per una borghesia terrorizzata dall’avanzata dei “rossi” dall’altro. Una doppia anima che il regista, gli sceneggiatori e gli attori riescono a restituire con grande potenza, mostrando come il consenso non sia stato solo imposto, ma anche abilmente costruito.
La serie non si limita a raccontare il passato, ma si fa monito per le nuove e le vecchie generazioni. È un’opera che va oltre la semplice rievocazione storica, spingendosi nel torbido animo umano, che ci obbliga a guardare il fascismo con gli occhi del presente, come una seduzione oscura che si insinua nelle democrazie in crisi. È una storia che parla di ieri, ma soprattutto di oggi.
La regia è meticolosa, attenta a ogni dettaglio, in grado di restituire un racconto che si muove tra finzione e repertorio in un equilibrio simbiotico, frutto di un lavoro storico e visionario allo stesso tempo.
M – Il Figlio del secolo: una serie necessaria per capire il passato e interrogare il presente

Dettagli degni di nota
Le musiche di Tom Rowlands, infine, non sono solo un accompagnamento alle immagini, ma fungono da collettore viscerale che penetra nella narrazione, incarnando tutto l’orrore della violenza. Suoni sospesi tra sperimentazione elettronica e suggestioni futuristiche, che ci ricordano la colonna sonora de La zona di interesse , di Mica Levi, disturbante e straniante, come le atrocità compiute dai totalitarismi.
Al centro della serie, accanto al talentuoso Luca Marinelli, troviamo un cast di straordinario livello. Barbara Chichiarelli incarna con intensità Margherita Sarfatti, mentre Francesco Russo dà spessore a Cesare Rossi, fido consigliere di Mussolini. Paolo Pierobon presta il volto a un carismatico Gabriele D’Annunzio, Gaetano Bruno restituisce la forza indomita di Giacomo Matteotti, e Vincenzo Nemolato interpreta un Re Vittorio Emanuele III pavido e molle.
M – Il Figlio del Secolo non è solo una serie ben fatta, è una necessità: un prodotto di massa (produzione Netflix) ben studiato, che interroga la storia e chi la osserva, costringendoci a fare i conti con il presente.

M – Il Figlio del secolo: una serie necessaria per capire il passato e interrogare il presente
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di Veronica Cirigliano
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2025-01-29 11:03:00 ,