Mafia: Italia-America, la nuova mappa del crimine

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AGI – La Direzione Investigativa Antimafia, nella sua Relazione semestrale al Parlamento, è tornata a lanciare l’allarme sugli intensi rapporti fra mafia siciliana e mafia d’oltreoceano e, l’estradizione di Ferdinando Gallina (detto Freddy), uomo d’onore della famiglia mafiosa di Carini fuggito negli Stati Uniti e lì arrestato, ne è la conferma.     

La storia non è remota, non si tratta del passato, ma del presente. Torniamo indietro nel tempo, per andare avanti. Luoghi, persone, fatti. Facciamo un viaggio nelle pagine scritte (e da scrivere) sulla storia della mafia americana. “Una cosa tra loro”, quindi “Cosa nostra”. Così il più noto boss italo-americano, Lucky Luciano (all’anagrafe Charles Luciano), definì la mafia americana, intercettato con un affiliato mentre spiegava la ristrutturazione dell’organizzazione mafiosa del dopoguerra negli Stati Uniti. 

Dal dopoguerra al 2021 la mafia americana si è emancipata da quella siciliana, arrivando ad essere (come ricorda l’Fbi sul proprio sito d’analisi ) “una delle principali minacce della criminalità organizzata alla società americana”.  

La storia  

Giuseppe Esposito è stato il primo mafioso siciliano a emigrare negli Stati Uniti. Fuggì a New York (insieme ad altri sei “compari”) dopo aver ucciso, in serie, 11 ricchi proprietari terrieri, un cancelliere e un vice cancelliere. Fu arrestato a New Orleans nel 1881 ed estradato in Italia. Ed è a New Orleans che ci fu il primo “omicidio eccellente” negli Usa. È il 15 ottobre del 1890, il sovrintendente della polizia cittadina David Hennessey, viene ucciso in quella che fu definita dall’Fbi una “esecuzione”. Segue la repressione, centinaia di siciliani vengono arrestati e 19 fra loro incriminati per l’omicidio. Vennero assolti ma, l’indignazione dei cittadini di New Orleans, portò ad un vero e proprio linciaggio, con l’uccisione di 11 dei 19 imputati.      

Da quel momento la mafia americana si è evoluta fino alla costituzione de “La Cosa nostra” (LCN), differenziata dalla “Cosa nostra” siciliana. Ma il momento chiave per gli inquirenti americani fu nel 1956 quando, la Polizia dello Stato di New York, scoprì una riunione di mafiosi di tutto il paese nella piccola città di Apalachin. 

Citato già Lucky Luciano (che fondò la più importante famiglia dei Genovese), con gli americani che avevano già compreso la violenza dei mafiosi, si arrivò agli anni Settanta-Ottanta con le indagini di due giudici e di un poliziotto: Rocco Chinnici Giovanni Falcone e Boris Giuliano. Fu Rocco Chinnici, all’epoca capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo, inventore del ‘pool’ antimafia, ad affidare a Falcone l’indagine che lo avrebbe portato al centro del narcotraffico tra le due sponde dell’oceano: “Un mio orgoglio particolare – commentò Chinnici – è la dichiarazione degli americani secondo cui l’Ufficio Istruzione di Palermo è diventato il centro pilota della lotta antimafia, un esempio per altre magistrature”.      

Giovanni Falcone concentrò la propria attenzione sugli zips (termine slang con cui vengono indicati negli Stati Uniti i neo-immigrati dalla Sicilia) e sugli ‘scappati’, ovvero coloro che erano sopravvissuti alla carneficina ordinata da Totò Riina per conquistare il potere assoluto in Cosa nostra fuggendo dall’altro lato del mondo. Si trattava, in particolare degli Inzerillo, alleati di Stefano Bontade, e a loro volta parenti alla lontana dei Gambino americani.  

L’organizzazione de ‘La Cosa nostra’  

Negli Stati Uniti si è ramificata sempre più, sino ad arrivare alla divisione in cinque famiglie (Bonanno, Colombo, Gambino, Genovese, Lucchese), i cui capi sedevano in una rivisitata “cupola” dal chiaro sapore siciliano. 

Dalla già citata famiglia Genovese di Lucky Luciano – che estende il proprio potere criminale in tutti i cinque borghi di New York, si arriva a quella dei Gambino, fondata da Salvatore ‘Totò’ D’Aquila nel 1910, e – secondo gli inquirenti – oltre a Frank Calì ha come capi Domenico Cefalù  e Joseph Corozzo, ma anche Joseph Lanni. Lui, uomo ‘riservato’, è fratello di un investigatore privato. I Gambino, il cui cognome risuona ancora in Sicilia, più precisamente nel ragusano, a Vittoria (ma senza rapporti segnalati con oltreoceano).     

Poi i Bonanno che sono una delle più antiche famiglie mafiose, nata a Castellamare del Golfo, negli ultimi anni dell’Ottocento. I Bonanno ebbero un momento di grande potere negli anni trenta del Novecento, con la guida di Salvatore  Maranzano, poi ucciso da Lucky Luciano. Hanno sempre avuto nel traffico di sostanze stupefacenti e nell’edilizia i loro interessi forti, espandendosi in tutti e cinque i borghi di New York: Bronx, Manhattan, Brooklyn, Queens e Staten Island.     

La famiglia Lucchese, invece, fu fondata nel 1922 da Tommy (all’anagrafe Gaetano) Reina. Oggi si estende fra il Bronx, Manhattan e Brooklyn e ha fra le sue attività illegali quelle degli “affari di strada”: rapine, usura e ricettazione.  L’ultima famiglia delle “cinque” è la più giovane, ovvero quella dei Colombo, fondata nel 1928 da Joe Profaci e attiva da sempre, in particolare a Brooklyn.     

Tra le attività criminali che producono “entrate” significative ci sono le frodi nel settore edile, il classico traffico di droga, l’enorme riciclaggio di denaro ed il traffico più innovativo in qui alcune famiglie si stanno specializzando: quello farmaceutico internazionale. Per l’Fbi l’allarme maggiore è quello relativo al “racket del lavoro”, “al fine di influenzare le imprese e le industrie correlate”. Tra questi le famiglie Genovese e Gambino, impegnate nel racket del lavoro nel “Port Everglades”. Il tutto attraverso il controllo dei sindacati e dei fondi a loro disposizione.     

Le “cinque famiglie”, inoltre, vantano diverse proprietà aziendali, fra queste ristoranti, concessionari d’auto, società di costruzioni e immobiliari, fino a strip club e topless bar.  

La forza militare delle Famiglie  

Secondo documenti riservati d’oltreoceano – che l’AGI ha potuto visionare – la famiglia Genovese può contare oggi su ben 175 membri, quella dei Gambino su 165, i Bonanno su 132, i Lucchese su 121 e i Colombo su 90. A questi numeri vanno aggiunte altre centinaia di persone. Ogni membro, infatti, ha la possibilità di affiliare fra 5 e 10 persone. In tutto si contano, quindi, fra i 3400 e i 6800 affiliati a “La Cosa nostra” soltanto nello stato di New York.

I rapporti con Cosa nostra siciliana  

Caduto il veto imposto da Totò Riina, già nel 2003 Cosa nostra siciliana si divise fra chi intravedeva nei boss d’oltreoceano una nuova prospettiva d’affari (come Salvatore Lo Piccolo, che sperava di scalare la cupola siciliana con il loro aiuto) e altri boss che, temendo ritorsioni, restarono fedeli a Riina. Fino all’interessamento, fin troppo “rumoroso”, di Frank Calì, intercettato dagli inquirenti americani. Calì aveva preso le redini della famiglia Gambino, che erano storicamente di John Gotti, morto nel 2002 dopo una condanna – fra le altre – per dodici omicidi. 

Nella recente relazione della Direzione Investigativa Antimafia al Parlamento, si segnala: “Gli scappati della guerra di mafia degli anni Ottanta hanno impiantato negli Stati Uniti attività imprenditoriali redditizie ed i proventi sarebbero stati destinati al mantenimento delle famiglie e dei sodali rimasti in Sicilia”. Ma il superamento dei diktat di Riina lo si vede in atto. La Famiglia Bonanno ad esempio ha visto dei “meeting” a Castellamare del Golfo, per una sostanziale “ricostruzione”. Ancora, il boss di Cosa nostra di Sciacca (Agrigento), Accursio Dimino, che in viaggi negli Usa aveva programmato la sua fuga. E poi ancora altri affiliati che continuano a viaggiare da e per NYC. Oltre ai recenti arresti della Dda di Palermo nel blitz “New connection”.   

La Cosa nostra oltre New York City   

Non ci sono solo le “cinque famiglie” negli Usa. A Buffalo c’è la famiglia Todaro, il cui capo è Joseph Todaro jr ed il sottocapo è Domenico Violi. Secondo quanto appreso dall’AGI la “famiglia” controlla il business delle cascate del Niagara e Hamilton in Ontario.     

A Filadelfia c’è la famiglia Merlino, con almeno una trentina di membri ed in continua ascesa. Qui, la recente scarcerazione del boss Joseph Merlino sta aumentando la caratura mafiosa della famiglia nella cosiddetta “Tri State Area” (New York, New Jersey e Connecticut) e ha un forte rapporto con i Genovese.     

Altra area importante per la Cosa nostra è quella in Elizabeth, il capoluogo della Contea di Union in New Jersey. Qui troviamo la “forte famiglia” dei DeCavalcante, con un centinaio di affiliati e una importante contiguità con i Gambino.     

A Boston si trova la famiglia Patriarca che controlla droga, gioco d’azzardo, usura e racket del lavoro illegale. A Los Angeles troviamo alcuni membri della famiglia Gambino.     

Infine, Miami: qui la situazione è molto variegata, una sorta di “città aperta” con tutte le famiglie citate presenti ed una “new entry”, i Caruana-Cuntrera, storica famiglia mafiosa di Agrigento (conosciuta come i Rothschild della mafia o i banchieri di Cosa nostra) che ha tentacoli nell’economia di Miami, in assoluto raccordo con le altre “famiglie”. 

La camorra non ha una struttura autonoma negli Usa, ma ha legami storici con la famiglia Genovese, alcuni affiliati italiani hanno proprietà in Florida (in particolare nightclub).     

Secondo fonti dell’AGI ha frequentato questi lidi anche il super latitante Raffaele Imperiale oggi il narcotrafficante ricercato numero uno della Direzione distrettuale antimafia di Napoli (da molti considerato il più grande broker della droga della criminalità organizzata capace di inondare di cocaina le piazze di spaccio napoletane). Con Imperiale anche Attilio Eugenio Repetti – broker genovese arrestato per la prima volta a metà degli anni ’90 e, dopo un’assoluzione, finito nuovamente in manette nel 2016 con l’accusa di ripulire gli incassi dei narcos camorristi.     

“Una cosa tra loro” per tornare alle parole di Lucky Luciano. Una “cosa” da sconfiggere, con le indagini degli inquirenti ma anche con la conoscenza. Perché la strategia della mimetizzazione (ideata dal capomafia Bernardo Provenzano) ha funzionato a maggior ragione negli Usa, con piccoli “incidenti” di percorso, come l’assassinio due anni fa del boss di una delle più importanti famiglie mafiose statunitensi, l’italoamericano Francesco Paolo Augusto Calì, per tutti Frank.     

Il “patto atlantico” fra mafie, con la ripresa a “pieno regime” dei rapporti fra Cosa nostra siciliana e quella statunitense, preoccupa sempre più. A maggior ragione con la pioggia di miliardi (da un lato il Piano Biden, dall’altro il Recovery fund) immessi nelle economie degli Stati Uniti e dell’Europa. Tra le sponde dell’oceano il mare è pescoso, le due mafie hanno la rete pronta, bisogna vigilare partendo dalla conoscenza.

 

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