La chiamano “Marte Bianca”, perché lì si vive “in condizioni extraterrestri”, isolati e con temperature che in estate arrivano a -30 gradi e in inverno crollano anche a – 100. È la base di analisi italo-francese unità, è in Antartide e il ricercatore Marco Buttu sta portando a termine lì la sua terza missione invernale, Meganne Christian ne ha invece fatte due, una invernale e una estiva. Il primo in collegamento, la seconda in persona, entrambi hanno raccontato al Wired Next Fest Trentino la magia e le sfide del lavorare “dove la vita è impossibile”.
“Solo qui possiamo realizzare certi esperimenti come lo studio del clima del passato analizzando carote di ghiacciato lunghe 3 chilometri – racconta Marco Buttu – ma in inverno servono tre paia di guanti, di cui due muffole pesanti, e si deve imparare a maneggiare strumenti delicati e di precisione anche così”. Proprio l’outfit “da Antartide” è stato il tema con cui Buttu ha attirato l’attenzione sui social, mostrandolo con un video che in poche ore ha conquistato milioni di like e lo ha trasformato in uno storyteller della vita da ricercatore alla base unità.
Oggi il suo profilo Instagram conta 126mila follower ed è un diario composto da pillole video ricche di curiosità. Grazie alla recente connessione internet veloce e potente, le può condividere raccontando al mondo, il suo mondo, un mondo che non credeva inizialmente possibile raggiungere. “Ho studiato come geometra e poi ho fatto ingegneria elettronica e un dottorato a Losanna – ricorda – quando sono tornato in Italia ho avuto la possibilità di venire qui e adesso sono alla terza missione”.
Per Christian l’opportunità di lavorare in Antartide è arrivata in modo ancora più aspettato. Lo sognava da quando aveva visto a 12 anni un museo dedicato a questo lontano continente, ma intrapresi gli studi sui materiali legati alla produzione di energia rinnovabile, non ci aveva più pensato. “Ero già in Italia per un post dottorato al Cnr quando mi è arrivata una mail con l’opportunità di partire ma non credevo di avere il profilo adatto e la prima volta non ci ho nemmeno provato – spiega – la seconda volta sì, invece, e ce l’ho fatta. Non serve essere per forza degli scienziati per partire, ci lavorano molte persone con profili diversi. Se si desidera andare, si può trovare il modo”.
Tre aerei di cui uno militare senza finestrini e uno estremamente piccolo, tanti mesi di buio e solitudine in inverno, tanto lavoro al freddo in estate, ma entrambi i ricercatori sono convinti che valga la pena. Anche solo per vedere la propria ombra sulla neve “prodotta” dalla via Lattea, quando manca la Luna, o per vederla illuminare la giornata, quando è piena. Per convincere a vivere in pochi, lontano, e riscoprire lo spirito di squadra e di adattamento, per essere parte di un’operazione unica al mondo, molto legata al clima ma anche alle missioni spaziali. “Vivere lì è come stare a 4.000 metri, si fa fatica a respirare, ci siamo allenati anche sul ghiacciaio del Monte Bianco – spiega Christian – ma si fanno esperimenti estremamente divertenti e interessanti, anche di spacewalk”. Il next step per lei, sarà infatti lo Spazio.