Negli oceani la chiave per salvare la biodiversità

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Tutti noi gli dobbiamo la vita ma continuiamo a ignorarlo. Peggio: lo maltrattiamo, e anche oggi che sembriamo aver aperto gli occhi sulla sua importanza, continuiamo a porre più attenzione al “green” che al “blue”, rimandando costantemente la sua cura perché è troppo importante per l’economia del globo. Il risultato? L’oceano continua ad essere malato e presto potremmo pagarne le conseguenze.

Vivendo sulla terraferma, troppo spesso ci dimentichiamo che il 71% della superficie terrestre è ricoperto dall’oceano. Rappresenta oltre il 90% dello spazio vitale del Pianeta. Se respiriamo, se viviamo, lo dobbiamo all’oceano e agli equilibri delle sue creature, alla biodiversità degli ecosistemi. Per campare, oltre tre miliardi di persone si basano sull’economia legata ai mari.

Quando parliamo di combattere le emissioni e pensiamo a rimediare piantando alberi o a impegnarci in stili di vita più verdi, spesso scordiamo che è il blue a fare il grande lavoro, ad aiutarci sequestrando la maggior parte dell’anidride carbonica nella lotta alla crisi climatica.

Barriera corallina, Panama (foto: Luis Acosta via Getty Images) 

Lui protegge noi, ma noi no proteggiamo lui: oggi solo il 7% degli oceani è davvero protetto e di questo solo il 2,6% è strettamente difeso. Mentre l’uomo guarda a dove mette i piedi e sogna di esplorare Marte, dell’oceano che lo circonda continua a conoscere poco (solo il 5% del fondo oceanico è stato esplorato) e a maltrattare quel che resta. Tra gli effetti del riscaldamento globale, tra inquinamento e sfruttamento continuo delle sue risorse, gli oceani sono arrivati così a un punto critico. Come ricorda l’oceanografa Sylvia Earle, 85enne e da sempre studiosa in difesa dei mari, non è però troppo tardi per riuscire a invertire la rotta: “Salviamo l’oceano e proteggeremo noi stessi”.

AREE PROTETTE – I problemi degli oceani sono tanti, ma dei cinque macro temi che abbiamo deciso di sottolineare quello della protezione è troppo spesso sottovalutato. Recentemente il documentario Seaspiracy ha fatto molto discutere per aver evidenziato il problema della sovrapesca. Una delle critiche mosse nei confronti del docufilm è però stata quella di non ricordare l’importanza delle aree protette. Il 7% degli oceani oggi difesi grazie a riserve e aree marine protette è, come ha ricordato anche l’Unesco, assolutamente troppo poco. Fra gli obiettivi che si è posta l’Agenda 2030 Onu, da qui a dieci anni si punta dunque ad arrivare al 30% della protezione ma siamo ancora lontanissimi dai fatti. Un recente studio su Nature indica la necessità, per salvare i mari, di istituire più aree marine protette dove vietare pesca ed estrazioni: se riuscissimo a salvaguardare il 70% degli oceani avremmo un ritorno del 91% in termini di biodiversità con una fondamentale crescita del pesce che garantirebbe – ridistribuendo fra Stati il pescato – cibo per tutti.

SOVRAPESCA – Le risorse dei mari non sono infinite, eppure continuiamo ad abusarne. Peschiamo di più perché consumiamo più pesce, quasi il triplo (circa 20 kg a persona l’anno) rispetto soltanto a cinquant’anni fa. Così abbiamo finito per dimezzare molte specie, dai naselli al tonno rosso, incidendo sulla biodiversità (40% di diminuzione delle specie marine in 40 anni) e mutando le catene alimentari. E senza freni andrà peggio: secondo la Fao nel 2030 il consumo pro capite di pesce salirà a 21,5 kg. Quasi un terzo del pescato mondiale deriva dalla pesca illegale e si stima che il 30% dei mari sia sovrasfruttato in termini di pesca. Alla pesca sono poi collegate varie forme di inquinamento mortali per gli animali: dalle reti fantasma sino all inquinamento da plastica. Urge una maggiore regolamentazione mondiale.

CRISI CLIMATICA – Il riscaldamento globale sta mutando i nostri mari molto velocemente. Sono più caldi e più acidi con conseguenze drammatiche per molte specie e l’innalzamento dei livelli del mare legato anche alle condizioni critiche di poli e ghiacciai sta già minacciando la vita di miliardi di abitanti costieri e non solo. Così come gli oceani hanno assorbito oltre il 90% del calore legato all’aumento dei gas serra in atmosfera, ora il  riscaldamento delle acque si trasforma in eventi meteo sempre più devastanti per l’uomo. Mari piccoli e chiusi come il nostro Mediterraneo soffrono maggiormente e tutti gli oceani stanno affrontando un dramma comune: la perdita di ossigeno che, di conseguenza, incide profondamente sulla biodiversità.

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BIODIVERSITA’ – Negli ambienti marini del ”pianeta blu” si stima vivano 200 mila specie e almeno 1 milione sarebbero ancora da scoprire. La maggior parte di queste soffre oggi a causa delle condizioni dei mari dovute all’azione degli uomini. La perdita di biodiversità è allarmante: le “zone morte” negli oceani sono raddoppiate in dieci anni. La metà dei coralli è scomparsa in meno di trent’anni, stiamo perdendo posidonia, fanerogame, mangrovie e organismi che aiutano a stoccare la CO2, il 30% delle specie di uccelli marini è minacciato di estinzione, cala il fitoplancton, cresce il numero di specie aliene che mutano gli equilibri, i mammiferi marini soffrono per il surriscaldamento e in un declino che sembra non avere fine sempre più specie migrano verso i poli nel tentativo di salvarsi. Un bollettino di guerra che troppo spesso ignoriamo.

I fondali inquinati di Batroun, in Libano (foto: Ibrahim Chalhoub/Afp via Getty Images) 

PLASTICA – Al già noto fenomeno generale dell’inquinamento da plastica, con circa 10 milioni di tonnellate di questo materiale che finiscono negli oceani causando danni enormi per gli ecosistemi, si aggiunge ora un problema legato alla pandemia da Covid-19: la dispersione in ambiente di mascherine. Stime approssimative calcolano nel solo 2020 circa 1,6 miliardi di mascherine sono state disperse in ambiente, nei mari. Contengono fibre di plastica e metalli pesanti e, secondo gli esperti, senza freni e strategie per contenere questo tipo di inquinamento siamo di fronte a una ulteriore bomba ecologica.

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Tutti problemi, quelli elencati, collegati fra loro e in cui c’è quasi sempre di mezzo l’uomo, così come per inquinamento acustico, tracce di farmaci e metalli pesanti nelle acque, rischi legati a fracking e estrazioni minerarie dai fondali. La vita del Pianeta dipende dal suo polmone blu che abbiamo fatto ammalare: a noi il compito di curarlo, per curarci.



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