«Noi, le azzurre del cricket venute dallo Sri Lanka»

0


C’è una nazionale italiana che durante i Giochi olimpici di Tokyo 2020 si è allenata in un campo sperduto della periferia romana, lontano dai riflettori e dalle violente polemiche che hanno accolto le parole del presidente del Coni Giovanni Malagò sul cosiddetto «ius soli sportivo». Si tratta della nazionale italiana femminile di cricket.

«La formazione è attualmente composta da undici donne dello Sri Lanka, una italo-srilankese e due italiane», spiega Kelum Asanka Perera, segretario generale della Federazione cricket italiana e membro del Consiglio nazionale del Coni. «Ero a Tokyo quando Malagò ha rilasciato quelle dichiarazioni ma per me la cittadinanza è un diritto, non una ricompensa», dice Perera.

Un tema molto caro a questa piccola ma determinata comunità sportiva di 50 società, 4mila tesserati e circa 25mila praticanti, in gran parte figli e figlie di persone provenienti da India, Sri Lanka e Pakistan.
Da tempo i vertici federali sono al lavoro per rilanciare il movimento femminile. Dopo uno stop lungo 4 anni, nel 2019 si è disputato nuovamente il campionato nazionale, conclusosi nel 2021 e vinto dalla Roma cricket club in una finale contro il Padova trasmessa live in streaming, una prima volta assoluta. L’obiettivo del 2021 era però quello di far rinascere la nazionale, ferma da cinque anni. E proprio per questo, a partire dallo scorso giugno, coinvolgendo le società iscritte ai campionati del 2020 e del 2021 sono stati organizzati una serie di appuntamenti volti a valutare il livello di preparazione delle atlete.
Il 30 e il 31 luglio a Roma, nel campo della Roma cricket club di Spinaceto, le giocatrici selezionate hanno preso parte agli allenamenti per il torneo bilaterale contro l’Austria, cinque incontri dal 9 al 12 agosto.

Si gioca 11 contro 11, ma a parte questo aspetto che potrebbe far pensare al calcio il cricket è più simile al baseball: chi lancia deve eliminare i battitori, colpendo il wicket (tre paletti infilati nel terreno, alle spalle del battitore). Le partite possono durare da qualche ora (sei) a diversi giorni (cinque).
Le partite con l’Austria si sono svolte nel formato T20 (120 lanci a testa, chi fa più punti vince). Per l’Italia del cricket femminile è stato un momento storico perché, nonostante in passato le azzurre avessero già giocato diversi incontri, queste cinque sfide sono riconosciute dall’International cricket council (Icc) e quindi quella del 9 agosto, il giorno dopo la chiusura delle Olimpiadi, è stata la prima partita ufficiale giocata dalla nazionale femminile di cricket italiana.

Le azzurre sono tutte atlete dilettanti, alcune studiano, molte lavorano e sono anche madri. Per giocare fanno enormi sacrifici. Ma la passione per questo sport e il sogno di indossare la maglia azzurra è più forte di qualsiasi difficoltà. E finisce con l’alimentare una piccola rivoluzione culturale che vede le donne protagoniste in campo con mariti, compagni e figli a bordo campo oppure direttamente a casa.
Peddrick ad esempio, vive a Milano e per giocare con la sua squadra, la Roma cricket club, attraversa l’Italia facendo tappa ad Arezzo dove lascia il figlio alla sorella.

Hiruni ha 27 anni, da 10 vive a Padova e per giocare deve faticosamente conciliare il lavoro di babysitter con gli allenamenti. Anche Sadalee gioca per il Royal Padova cricket club. Ha 16 anni e alla domanda se sia venuta a Roma da sola la sua risposta è spiazzante e allo stesso tempo illuminante: «Ho i documenti!». La possibilità di muoversi è legata indissolubilmente al fatto di «essere in regola».

Araliya a 30 anni è una veterana del cricket. Ha iniziato a giocare a 17 anni e per 4 ha fatto parte anche della vecchia nazionale femminile. Vive a Roma da vent’anni e sempre nella Capitale ha studiato fino al diploma alberghiero. Tre mesi fa, per poter continuare gli allenamenti, ha lasciato il lavoro di caposala in un hotel ma è serena: «Sono registrata come interprete in tribunale, posso fare anche quello».

Dayana di anni ne ha 33 ed è arrivata a Roma nel 2009. Ha conosciuto il cricket tramite la sorella. Prima della pandemia lavorava come receptionist in un albergo. «Adesso aspetto la riapertura», dice.
E poi c’è chi, come la 15enne Pasindi, è venuta da Lucca con la madre quarantenne, anche lei giocatrice.

«C’è chi ha la residenza, chi è nata in Italia ma non ha il passaporto perché per qualche requisito mancante non ha potuto chiedere la cittadinanza. Molte sono arrivate in Italia da adulte. L’ex capitana della nazionale Kumudu vive qui dal 2000», spiega Maria Lorena Haz Paz, vicepresidente della Federazione.

Figlio di immigrati, Perera non ha dovuto aspettare di compiere 18 anni per la cittadinanza visto che il padre l’aveva ottenuta prima. «Ho 37 anni, sono nato a Firenze, cresciuto a Forlì e a Roma dal 2009. Sono stato un atleta della nazionale, commissario tecnico, vicepresidente della commissione atletica del Coni, Ambassador dell’Italia team alle Olimpiadi di Tokyo, sono il segretario generale della Federazione e un consigliere nazionale del Coni dal 2009. Non è che lo straniero sia sempre un danno, no?».

Per quanto riguarda il cricket, lo «ius soli sportivo» è già realtà da anni. Le regole della Federazione internazionale permettono ai giocatori di rappresentare il Paese in cui vivono da almeno tre anni. In Italia gli atleti con genitori stranieri possono giocare nella nazionale italiana anche se non hanno la cittadinanza, basta che vi risiedano da almeno 3 anni. La Federazione consente inoltre a chi ha giocato almeno 2 anni in una formazione giovanile di poter essere schierato nel campionato italiano come «equiparato italiano» e non come straniero. È così dal 2003, quando la Federazione cricket italiana è stato il primo organismo sportivo a riconoscere parità di diritti ai suoi atleti in base alla nascita.

Molto prima della legge numero 12 del 20 gennaio 2016 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 1 febbraio con le sue «disposizioni per favorire l’integrazione sociale dei minori stranieri residenti in Italia mediante l’ammissione nelle società sportive appartenenti alle federazioni nazionali, alle discipline associate o agli enti di promozione sportiva». Uno «ius soli sportivo» con molte limitazioni, visto che per indossare la maglia azzurra il cittadino di un’altra nazione deve comunque attendere il diciottesimo anno d’età e la richiesta della cittadinanza, un procedimento allungatosi con il decreto Salvini del 2018 da 2 a 4 anni.

Il nodo centrale, ribadisce Perera, è sempre lo stesso: «Lo sport non si può sostituire alla politica e ritengo riduttivo, quando si parla di riforma della cittadinanza, occuparsi solo dei possibili futuri atleti». Non avere la cittadinanza limita molto gli spostamenti degli atleti e quindi la loro crescita dal punto di vista tecnico e fisico, come sottolinea sempre Perera: «Un conto è giocare a cricket in Italia, un conto farlo in Inghilterra o addirittura in Australia. Se ci devi andare con un passaporto non italiano è molto complicato. Penso al caso dell’ex capitano della nazionale maschile Gayashan Munasinghe che ha dovuto aspettare i 31 anni per poter andare a giocare in Australia. Quello della cittadinanza è un problema che c’è e deve essere affrontato per tutti, non solo per chi fa sport. Spesso sento dire che ‘a 18 anni diventi subito italiano ma non è vero che lo si diventa automaticamente. Ci vuole un anno, un anno e mezzo, se è tutto in regola e se non ci sono stati buchi o altre situazioni paradossali non così infrequenti».

Quest’anno la nazionale femminile, grazie alle partite contro l’Austria otterrà un ranking internazionale, a prescindere dal risultato. «Le ragazze si stanno impegnando molto e ho già ricevuto l’invito dalla federazione austriaca per tornare a giocare a Vienna anche contro il Belgio in un torneo internazionale», dice Perera.

Sempre in questi giorni l’Icc ha ufficializzato la candidatura presso il Comitato olimpico internazionale affinché il cricket possa diventare disciplina olimpica a partire dall’edizione di Los Angeles 2028. Fino ad oggi era accaduto nell’edizione del 1900. Ma non è solo per i Giochi che la Federazione italiana ha deciso di investire sulla rinascita del movimento femminile. «Siamo partiti ancor prima che ci fosse la possibilità di poter entrare a Los Angeles, anche perché l’inclusione del cricket non è una certezza. Siamo però convinti che lo sviluppo di questo sport debba passare anche attraverso la nazionale femminile», ribadisce Perera.

Come ha ricordato la scrittrice italiana di origine somala Igiaba Scego, «sullo ius soli sportivo saranno almeno due o tre volte che qualcuno lo cita a sproposito dimenticando che quello che manca non è il diritto di gareggiare, ma il diritto di esistere, di essere quello che sei, con un passaporto e la fine di una burocrazia che ti mangia la vita». Quelle che Scego definisce non a torto «dichiarazioni fotocopia, uguali nel tempo e nelle virgole, spudorate e ciniche» verranno presto sostituite da altre polemiche usa e getta ma, aggiunge, «la lotta per la riforma della cittadinanza continuerà, nonostante tutte le parole storte intorno».



Source link
di Adil Mauro
espresso.repubblica.it
2021-08-26 07:33:00 ,

Leave A Reply