Joe Biden può davvero essere sostituito da un altro candidato? Chi nel Partito democratico vorrebbe trovare subito un nuovo candidato, deve fare i conti con i fatti e il calendario.
Prima di tutto, bisogna capire cosa intende fare l’anziano Biden: senza un suo passo indietro, nessuno può togliergli la candidatura. Biden ha incontrato un’opposizione minima alle primarie e si è assicurato il 99% dei delegati: in assenza di eventi straordinari, e di un chiaro piano alternativo, è da escludere che il presidente venga tradito dai suoi fedelissimi nella Convention che, il 19 agosto a Chicago, designerà ufficialmente il candidato democratico alla Casa Bianca.
Qualsiasi sfidante dovrebbe annunciare la propria candidatura prima del voto formale, opponendosi direttamente a Biden, rischiando così di spaccare il partito, con i ringraziamenti di Donald Trump. Non ci sono precedenti in tal senso: nel 1968 il presidente democratico Lyndon Johnson rinunciò a candidarsi per un nuovo mandato, ma lo fece in marzo, quando ancora le primarie non si erano concluse. E si ritirò di sua iniziativa, mentre nel Paese crescevano le proteste per la guerra in Vietnam.
Il Democratic National Committee, il massimo organo del partito, non ha il potere di sostituire un candidato, i “rimozionisti” si affidano così all’intercessione della moglie Jill, o alle pressioni di figure carismatiche come Barack Obama o Bill Clinton, ma per ora non hanno ottenuto altro che rassicurazioni scontate sulla tenuta psicofisica del leader 81enne.
Il tempo è il secondo grande ostacolo per chi vuole fare fuori Biden: mancano infatti poco più di quattro mesi alle elezioni presidenziali di inizio novembre, cambiare cavallo in corsa vorrebbe dire ripartire da zero con la campagna. I democratici hanno speso fino a qui circa 346 milioni di dollari per sostenere Biden, in cassa ci sono circa 212 milioni di dollari ma non è detto che possano essere usati per un candidato alternativo.