«O ti fidi e ti lasci andare completamente. O rinunci alla possibilità di vivere ancora domani, accanto alle persone che ami. Con la scienza non esistono vie di mezzo e, francamente, se avessi fatto vincere la paura, a quest’ora non potrei raccontare il miracolo di cui sono stato protagonista». A parlare è il signor Giovanni (nome di fantasia), un cinquantaseienne di Torino protagonista di un doppio trapianto che, dall’Azienda universitario-ospedaliera Città della Salute di Torino, dicono essere «il primo al mondo e, per complessità e risultati, un vero modello per la chirurgia del futuro». Giovanni spiega di essere stato messo spesso alla prova dal destino e, pur non ritenendosi particolarmente fortunato, di vivere una vita ricca di seconde occasioni. «So di avere fegato e reni polisciti da sempre: è un problema di salute ereditario e per il quale mio padre è deceduto – racconta l’uomo -. Fino alla scorsa estate, però, ho vissuto in modo normale e, al netto dei controlli periodici, della terapia farmacologica e della totale astinenza da alcool, non ho mai avuto problemi di alcun tipo».
Quando sono iniziati i problemi
Lo scorso maggio Giovanni – operaio con un passato nella Marina, – cade, si rompe un ginocchio, viene ricoverato all’ospedale Martini di Torino, operato e rimandato a casa. E da lì cambia tutto. «In quel momento sono iniziati a problemi – spiega -. Cognitivi innanzi tutto: mi sentivo strano, assente, spaesato; ed è solo grazie all’amore e all’abbraccio di mia figlia, che una notte mi ha soccorso in sala da pranzo e, pazientemente, aiutato a comprendere che c’era qualcosa di davvero troppo strano nel mio comportamento, che mi sono convinto a tornare in ospedale». Dove l’uomo riceve una notizia inaspettata e terribile. Fegato e reni rischiano la necrosi: gli restano pochi giorni di vita. «Dal martini vengo trasferito alle Molinette di Torino e qui davvero le tentano tutte per scongiurare la mia morte, anche quando scoprono che, oltre ad avere un fegato del peso di 15 chili per via delle numerosi cisti, una colonia intestinale di batteri resistenti a qualunque terapia antibiotica disponibile sul mercato rende vano ogni tentativo di trapianto».
Una soluzione mai esplorata prima
È a quel punto, allora, che i sanitari di Città della Salute contattano i colleghi della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma (tra i maggiori esperti di microbiota fecale) e, con loro, decidono di percorrere una strada fino a pochi mesi prima mai esplorata e per questo certamente rischiosa, ma l’unica possibile per provare a salvare la vita a Giovanni. «Mi svuotano totalmente lo stomaco e, quando sono sicuri che io sia completante libero, mi fanno iniziare una terapia di 50 capsule di microbiota intestinale da prendere per via orale e preparate dalla Microbiologia della Fondazione Policlinico Gemelli, il cosiddetto trapianto fecale» ricorda l’uomo. «Le 50 pastiglie di materiale fecale trattato da prendere per poter fare il trapianto di fegato non sono state una
passeggiata, ma hanno fatto in modo che non mi pesasse e sono
sopravvissuto». «Riesco già ad alzarmi da solo, nonostante il ginocchio, per cui dovrò rifare l’operazione, perché comunque non è andata bene, la protesi si è sganciata. Dal trapianto sono venuto a casa prima di Natale e ogni giorno sento la differenza in meglio. Mi seguono col day hospital benissimo, sono un’eccellenza, non solo perché mi hanno salvato la vita».
In lista per i trapianti
Finito questo ciclo di cure, la riduzione della carica batterica consente ai sanitari di inserire Giovanni in lista trapianto fegato. Dodici giorni dopo (è fine novembre), grazie alla generosità di una famiglia italiana che ha donato il fegato del caro congiunto defunto, l’uomo riceve un fegato compatibile ed entra in sala operatoria. Il trapianto di fegato (a elevatissima complessità tecnica) è stato eseguito dal Direttore del Centro Trapianto Fegato di Torino, professor Renato Romagnoli, insieme al suo staff medico, chirurgico e infermieristico, in circolazione extracorporea con la collaborazione della Cardiochirurgia (diretta dal professor Mauro Rinaldi) e degli anestesisti della Anestesia e Rianimazione 2 (diretti dal dottor Roberto Balagna).
«Senza i donatori di sangue sarei deceduto»
Durante il trapianto sono servite 18 unità di globuli rossi e altrettante di plasma fresco provenienti dalla Banca del sangue e Immunoematologia della Città della Salute di Torino (diretta dal dottor Marco Lorenzi). «Per favore, mi faccia dire ancora una cosa – precisa Giovanni – senza la bontà dei donatori di sangue, sarei deceduto». La donazione di sangue, infatti, è indispensabile per l’attività trapianto. Per consentire gli oltre 4 mila trapianti di fegato fatti a Torino lo scorso anno, per esempio, è servito un pool di oltre 150 mila donatori che, in silenzio e con grande generosità, ha donato il proprio sangue. Il decorso post-operatorio del trapianto di fegato di Giovanni non ha avuto complicanze maggiori e 20 giorni dopo l’intervento, il paziente è rientrato a casa. «Sto bene e sono felice, pensi che prima del trapianto ero costretto in dialisi e ora, invece, i miei reni hanno ripreso a funzionare – conclude l’uomo – certo, dovrò fare una seconda operazione al ginocchio prima di potermi dire di nuovo abile e arruolato, ma sono fiducioso e come ho detto fin dall’inizio: non amo le mezze misure e fino a prova contraria: mi fido della scienza». Il caso di Giovanni ha già ricevuto un primo riconoscimento nella letteratura scientifica internazionale, ed è stato pubblicato sulla prestigiosa Transplant Infectious Disease.
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torino.corriere.it
2024-02-17 14:40:48 ,