oltre ai vaccini ci vuole un progetto per la sanità in Africa

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AGI – I Grandi del Mondo, il G20, hanno deciso, sottoscrivendo il Patto di Roma, che non possono lasciare al loro destino miliardi di persone. Per questo si sono impegnati a lavorare per il rafforzamento dei servizi sanitari dei paesi più fragili e a mettere in atto un piano globale di vaccinazioni seguendo il principio che da soli non ci si salva di fronte alla pandemia da coronavirus. Il Patto di Roma sono solo buone intenzioni? Oppure manca un piano di azione per poter implementare le proposte? Nonostante le buone intenzioni rimane una sorta di “sovranismo vaccinale”.

Molti paesi posseggono un numero di vaccini estremamente superiore alle necessità, molti di questi sono in fase di scadenza e verranno sprecati. Stiamo assistendo a un’ingordigia senza precedenti che, poi, non è altro che uno schiaffo a quel pezzo di mondo, l’Africa in particolare, che di vaccini non ne ha. È del tutto evidente che dalle parole occorre passare ai fatti.

Di questo e molto altro ne abbiamo parlato con il direttore di Amref Italia, Guglielmo Micucci, Ong impegnata del settore sanitario, in particolare in Africa e che ha lanciato la campagna “Un vaccino per il bene di tutti”, seguendo il principio che il mondo ricco non si salva da solo. In Africa, ai ritmi attuali, per completare l’immunizzazione dell’intera gente ci vorranno almeno tre anni: all’appello manca un miliardo di persone. Non le si può abbandonare a sé stesse.

Il G20 si è concluso con il “Patto di Roma”. I venti paesi si sono impegnati per una campagna di vaccinazione in tutti i paesi del mondo, in particolari quelli più fragili. Buone intenzioni o vede un impegno concreto fatto anche di investimenti?
“La salute ha rappresentato il tema centrale della riunione ministeriale del G20, tenutasi il 5 e il 6 settembre, non i vaccini. Può sembrare insignificante, ma la differenza è sostanziale. Tra le altre cose, i Paesi coinvolti hanno riaffermato il proprio impegno nel rispondere alle emergenze sanitarie e a promuovere la resilienza dei sistemi sanitari e delle comunità. Questo va ben oltre la pandemia; nel caso di molti Paesi africani, le emergenze sanitarie includono l’AIDS, la malaria, la tubercolosi, la salute materno-infantile. L’impegno è chiaro ed esemplare, ma va definita una linea di azione per poter implementare le proposte”.

Quali sono le urgenze affinché i paesi a basso reddito possano beneficiare del Patto di Roma?
“Per quanto riguarda la pandemia, tra le urgenze massime è il potenziamento del processo di distribuzione dei vaccini. Nei Paesi sviluppati, la produzione e la distribuzione dei vaccini è ormai pienamente operante. Tuttavia, i Paesi a sud del mondo soffrono ancora di una bassissima capacità di distribuzione. In Africa, dove il nostro sguardo, come Amref, si rivolge in maniera più diretta, è stata vaccinata solo il 3,2% di gente; gli USA hanno superato il 50%. Ai ritmi attuali per raggiungere il 60% della gente impiegherà oltre tre anni.

“C’è un netto divario in termini di produzione, di disponibilità, di distribuzione e di somministrazione dei vaccini, tra i Paesi più sviluppati e i Paesi meno sviluppati, tra cui molti Paesi del continente africano. Uno dei temi affrontati nel corso della riunione del G20 ha riguardato infatti, la possibilità di produrre i vaccini nei Paesi a basso reddito, per aumentarne la disponibilità e di conseguenza facilitarne enormemente di distribuzione.

“Aggiungo una nota sull’importanza di un elemento a volte sottovalutato: una volta distribuito, il vaccino deve essere somministrato da personale sanitario competente. La formazione di personale sanitario è infatti uno dei pilastri principali su cui si basa l’ultima campagna di Amref, “Un vaccino per il bene di tutti”. Dobbiamo formare migliaia di operatori sanitari, affinché siano in grado di rassicurare la gente, amministrare le scorte di vaccini, e somministrare le dosi in sicurezza.

Le vaccinazioni in Africa stentano a decollare, con tutti i problemi, anche per noi, che ciò comporta. Cosa si può fare affinché anche nel continente si cambi marcia sull’immunizzazione della gente?
“Se l’Africa rimane indietro sul fronte dei vaccini, c’è il rischio che diventi più difficile controllare la trasmissione del virus e la possibilità che si sviluppino varianti in grado di compromettere l’efficacia dei vaccini. Non dimentichiamoci che una delle prime varianti identificate è stata proprio la variante sudafricana, e la possibilità che altre varianti insorgano nelle stesse zone, è elevata. E non è il continente in sé il problema, ma il fatto che parliamo di oltre un miliardo di persone non vaccinate.
Mi dispiace che ciò che possiamo personalmente trarre dal sostegno dato al prossimo sia l’unica argomentazione utile a stimolare la solidarietà globale, tuttavia è così, nessuno è al sicuro finché non lo siamo tutti.
“Vorrei fare anche un appunto sui vaccini scaduti o che stanno per scadere. Molti Paesi posseggono un numero di vaccini estremamente superiore rispetto alla reale necessità. Per questo motivo, numerose dosi vengono o verranno a breve buttate. Trovo tutto ciò inverosimile e indicativo del fatto che siamo talmente egoisti che arriviamo ad essere incapaci di offrire qualcosa, nonostante la andremo a buttare. Anche dal punto di vista simbolico, vedere che milioni di vaccini vengono sprecati, a causa di una spaventosa ingordigia, è uno schiaffo a quel pezzo di mondo che ormai è così vicino a noi.

Come può incidere, nel concreto, il Patto di Roma con l’impegno per rafforzare il sistema sanitario del continente?
“È importante sottolineare che stiamo parlando di 54 sistemi sanitari differenti: in determinati Paesi africani, i sistemi sanitari sono simili a quelli dei Paesi occidentali, e offrono grande efficacia e capillarità, soprattutto nei centri urbani. Per poter incidere, nel concreto, bisogna fare in modo che dietro quei concetti ci siano delle linee di azione chiare, tangibili e realizzabili, che permettano ai diversi sistemi sanitari africani di consolidarsi, di ricostruirsi, o di costruirsi, in maniera permanente.
È questa la differenza: se noi mandiamo dieci miliardi di vaccini a dieci Paesi africani, risolviamo il problema in maniera temporanea. Ad oggi, servono cambiamenti duraturi nel garantire la salute a livello universale”.

Per concludere, la sua organizzazione non governativa è impegnata a fondo per supportare i servizi sanitari dei paesi africani in cui opera, ed ora ha lanciato una campagna significativa “Un vaccino per il bene di tutti”.
“In un mondo diviso tra chi vuole vaccinarsi e chi non vuole vaccinarsi, per Amref la risposta è chiara. Noi di Amref non abbiamo dubbi e non abbiamo difficoltà nello schierarci dalla parte di chi si affida alla comunità scientifica. Così si tutela responsabilmente la salute globale e così si condivide la volontà di uscire dal grande flagello del coronavirus. Anche da questa consapevolezza, nasce la campagna di Amref “Un vaccino per il bene di tutti”, con la quale Amref intende rafforzare il suo impegno per un programma di vaccinazione di massa in quattro Paesi dell’Africa subsahariana. In Kenya saranno formati 1.500 operatori sanitari sulla gestione e somministrazione del vaccino. In Uganda 5,7 milioni di persone saranno raggiunte attraverso l’impegno di Amref a supporto della campagna vaccinale. Riceveranno sostegno oltre 1.200 strutture sanitarie in Kenya e Zambia e 6.000 operatori sanitari di comunità coinvolti e formati in Malawi. 
“Dall’inizio della pandemia, Amref ha raggiunto oltre un milione di persone, ha formato più di 100.000 operatori sanitari sulle misure di prevenzione e gestione del COVID-19 e ha fornito oltre 40mila dispositivi di protezione individuale. Ha equipaggiato i suoi Flying Doctors – “medici volanti”, in servizio su piccoli aeroplani, per raggiungere le zone remote – dotandoli di capsule per il trasferimento dei malati più gravi. (Chi vuole contribuire alla campagna di Amref può donare al numero solidale 45583 per il periodo 01-26 settembre 2021. O accedendo al sito www.amref.it.)

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Angelo Ferrari , 2021-09-16 04:52:10
www.agi.it

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