Per carità, è pure giusto che l’agenzia che ha curato la contestata campagna promozionale dell’Italia Open to meraviglia con la Venere influencer, per conto del ministero del Turismo e dell’Ente nazionale turismo italiano (Enit) dicesse la sua. Si tratta d’altronde di una società gloriosa nell’ambito della comunicazione pubblicitaria, il Gruppo Armando Testa, e in molti si sono infatti domandati negli ultimi giorni di furioso dibattito sulla Venere influencer come una simile creatura kitsch potesse essere sbucata da quelle floride menti. Con una pagina sul Corriere della Sera l’azienda, fondata nel 1956, si prende la briga di spiegarci però alcuni aspetti che in realtà conoscevamo bene. Forse qualcuno li ha fraintesi o non li ha esposti nel dettaglio: di certo non noi, di certo non qui. Nessuno, qui su Wired, ha “sparlato” della campagna come ha scritto una testata del settore dei viaggi. Il fatto è che quella campagna è brutta e inadeguata, quasi grottesca. E su questo non ci sono spiegazioni che tengano. Anzi sì: l’abbiamo fatta brutta proprio per farne parlare, sembrano dirci i creativi di Testa.
Ma vediamole le spiegazioni, esposte – questo va riconosciuto – con un tono sarcastico abbastanza gustoso e sotto forma di pseudo-ringraziamento alle tante opinioni critiche, e qualche solito bastian contrario specializzato nel difendere l’indifendibile, accumulate nei giorni. Il primo punto parla di “dibattito culturale” innescato dalla campagna. Troppa grazia definire dibattito culturale un quasi unanime disappunto ma prendiamolo per buono. Si collega d’altronde alla seconda obiezione, che è la parafrasi del vecchio detto pubblicitario “bene o male purché se ne parli”. Se tanto basta, siamo noi felici per loro ma un po’ meno per 9 milioni che potrebbero andare da un’altra parte. Per esempio per assumere qualche dipendente in più in qualche museo statale italiano, spesso closed to meraviglia.
Il terzo punto attacca in modo bonario gli italiani, popolo di ct della nazionale, virologi e puntuti analisti geopolitici, lo sappiamo bene. E adesso – a quanto pare con fastidio del gruppo – anche veterani del mondo pubblicitario. Tutte le visualizzazioni, i post, i commenti e così via “ci hanno fatto sentire davvero la più grande agenzia italiana, con un immenso reparto creativo di milioni di persone al lavoro sullo stesso concetto”. Simpatica la presa in giro, ci può anche stare, ma il messaggio è: siete tutti creativi, che ne volete sapere, alla fine abbiamo ragione noi.
Il quarto punto della lettera dei creativi tocca in effetti un fraintendimento che ha travolto molti: pensare che il teaser della campagna, una sorta di dietro le quinte, fosse il video definitivo. Qui non ci riguarda: lo avevamo ben chiaro, e l’abbiamo infatti definito “video di lavorazione”. Questo non significa che anche lì, e forse soprattutto lì, si possano trovare gli aspetti più critici di questa sfortunata impresa che speriamo con tutto il cuore e con tutte le nostre tasche possa comunque fruttarci qualcosa.
Così come il quinto, dove i 9 milioni di investimento del ministero del Turismo, guidato da Daniela Santanchè, non sono evidentemente destinati allo sviluppo della campagna ma sono i soldi che serviranno per piazzarla in giro per il mondo, dalle fiere agli aeroporti (a cui destineremo a quanto pare quasi la metà di quel budget). Solo chi non capisce davvero nulla di comunicazione può aver pensato che l’intero stanziamento fosse destinato alla sola campagna. In ogni caso: forse da molti non è stato dettagliato con dovizia ma il problema rimane. Ed è quello di un’operazione creativa costata poco più di 138mila euro e altri 8,9 milioni abbondanti per essere diffusa in 33 mercati chiave. Spacchettando la cifra nelle diverse voci di spesa il risultato (purtroppo) non cambia.
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di Simone Cosimi www.wired.it 2023-04-27 11:04:30 ,