Oscar 2023: perché la abitazione di produzione A24 è la vera vincitrice

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Il suo nome è A24 e da ieri sera è ufficialmente la nuova potenza da battere nel panorama cinematografico. Gli Oscar 2023 hanno infatti segnato un trionfo su tutta la linea per la abitazione di produzione distribuzione fondata da Daniel Katz, David Fenkel e John Hodges. EEAAO (Everything Everywhere All At Once) e the Whale sono stati i grandi protagonisti delle statuette, con ad inseguire Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale. I primi due sono proprio della A24, la nuova realtà che sta mettendo sotto scacco la Hollywood che fu, creando un nuovo modo di concepire la fruizione e creazione cinematografiche.

Quel sogno nato su un’autostrada italiana

La A24 è nata in Italia. Strano vero? Eppure, è così. Era il 2012 e Daniel Katz era in Italia, direzione la Caput Mundi, sull’iconica (e da molti di noi maledetta spesso) autostrada Roma-Teramo. “Questo è il momento di farlo” disse fra sé e sé Katz, come ha continuato a spiegare in questi anni. Katz lavorava all’epoca per la Guggenheim Partners, nel ramo economico, Fenkel, era presidente e cofondatore della Oscilloscope Laboratories, mentre Hodges era coinvolto nella Big Beach. Mollarono tutto per creare questa nuovo, strana avventura, inizialmente chiamata A24 films, con l’obiettivo di farsi una posizione in ambito distributivo. Un traguardo che hanno raggiunto in pochissimi anni da quando oltre che della distribuzione, ha deciso di occuparsi anche della produzione di film per il grande schermo e serie tv, di fatto spaccando a metà il mercato. 

Una scommessa impossibile vinta (e trionfante agli Oscar 2023) facendo una cosa molto semplice, apparentemente banale ma nella realtà sempre più difficile: proporre narrazioni alternative a quelle mainstream, unire la sperimentazione, la fantasia e l’audacia del cinema indipendente, con una dimensione visiva in grado di stupire il pubblico, senza per questo essere eccessivamente di nicchia, ma anzi solleticare più target contemporaneamente. Il tutto però senza scadere nel commerciale puro e semplice. Insomma fare tutto quello che una volta, negli anni ’90, pareva appannaggio della Miramax, Fox Searchlight o della Orion Pictures, con registi come Tarantino, le sorelle Wachowski o Zemeckis o Verhoeven. Nella nostra mente con ogni probabilità si pensa che le case di distribuzione siano molto meno importanti di quelle di produzione. Queste ultime effettivamente mettono sul banco i soldi con cui registri, attori, addetti agli effetti possono creare i sogni sul grande e piccolo schermo con cui cerchiamo di intrattenerci e rendere meno noiose le nostre vite. 

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Seconde possibilità, vittorie bizzarre e un red carpet color champagne per una cerimonia che vuole strenuamente rivoluzionarsi

Ma la realtà è che però le case di distribuzione hanno un compito incredibilmente importante: si occupano di creare i trailer, le locandine, di fatto acquistano i film nella loro versione per il pubblico, si occupano di posizionarli sul mercato, di renderli appetibili per il target di riferimento e anche presso la stampa. La A24 fin dall’inizio si è posta come qualcosa di diverso da ciò che avviene già sul mercato, con una tattica aggressiva ed originale, cercando di colpire dal punto di vista visivo lo spettatore di accattivarsi la curiosità e le simpatie, offrendo prodotti chiaramente connessi al cinema indipendente, ma curati nel dettaglio, con nomi di grande richiamo e tematiche molto attuali. Fatto ancora più indicativo della sua natura e composizione virgola e il fatto che la A24 sia stata fondata a New York, simbolo cinematografico e tempio della cultura indie e non nella tanto rinomata ma ormai veramente sovraffollata a Los Angeles.

“Noi non siamo Hollywood” è stato fin dal primo momento il tratto distintivo della A24, che si presentò con le idee molto chiare già con A Glimpse Inside the Mind of Charles Swan III di Roman Coppola. Contemporaneamente, rilasciava uno degli ultimi, veri cult generazionali del cinema moderno: Spring Breakers di Harmony Korine. Messa così parrebbe che la sua identità si fosse già limitata ad alcuni generi cinematografici specifici. Nossignore, perché conosci perfettamente di quanto una varietà dell’offerta sia sempre fondamentale, Katz, Fenkel e Hodges si sarebbero poi interessati anche alla fantascienza, al thriller, insomma avrebbero spaziato in ogni dove, racconto qualsiasi idea da distribuire che potesse permettergli di consolidare il proprio nome agli occhi di un pubblico in eterno mutamento. Ecco l’intuizione alla base del successo della A24: il pubblico si è stancato della sterilità offerta dalla major, vive in un mondo semantico e semiotico interconnesso tra universo videoludico, serie tv, fumetti, social che Disney e co., solo saltuariamente hanno dimostrato di voler coinvolgere e far proprio. 

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Per molti il trionfo agli Oscar di Brendan Fraser,  Michelle Yeoh, Ke Huy Quan e Jamie Lee Curtis è la rivalsa dei loser. Ma quali loser, è solo colpa di Hollywood

La A24 è qualità, autorialità e creatività senza paura

Ex Machina precedette Room (che fece incassare a Brie Larson l’Oscar) e poi The Whitch. La A24 poi ha cominciato a trattare con Apple e Prime Video, a coinvolgere star come Scarlett Johansson, James Franco o Robert Pattinson, con il coinvolgimento di registi di grande prestigio come Baumbach, Egoyan, Gus Van Sant, Villeneuve. Fattore assolutamente fondamentale, è il grande clima di collaborazione e di ascolto verso gli autori, la loro visione, in perfetta controtendenza ciò che Marvel, Disney, Warner e co hanno fatto nell’ultimo quindicennio, imponendo una sempre più stringente dittatura da parte dei produttori e distributori sulla visione personale. La A24 ti sorprende con film colorati, strani, con storie toccanti e atipiche, con un’audacia creativa che quest’anno, di fatto, con EEAAO ha affascinato il mondo. Più che un film di genere un film di generi, in grado di parlarci di depressione, minoranze, multiverso, rapporto madre e figlia, insomma un po’ di tutto, condito da plug anali, arti marziali e ironia grottesca. 

Quale tra i colossi hollywoodiani avrebbe mai permesso ad un film del genere di uscire nella forma in cui EEAAO è uscito? Nessuno, esatto. Ed è in questa mancanza di paura, questo rispetto per il suo pubblico che la A24 ha costruito il suo successo. Moonlight. Ecco il giro di boa. Nel 2016 la A24 decide infatti che la distribuzione deve essere un punto di partenza, passa anche alla produzione, ed è immediatamente successo di pubblico e critica. Il film di Jenkins vince l’Oscar come Miglior Film e da lì tutto pare diventare in discesa. Ma lo è veramente? Perché di mezzo c’è la pandemia di Covid-19 che mette tutti in pericolo, il piccolo schermo che è risorsa ma anche nemico, il pubblico che non vuole più uscire di abitazione. La A24 però non molla, ci dona il Sacrificio del Cervo Sacro di Lanthimos, Mid90s di Hill, strizza l’occhio ai millennials e assiema alla Generazione Z, a chi è stanco delle solite cose ma non è neppure interessato per forza a b-movie troppo kitsch come la saga di Sharknado e co

Brendan Fraser

Il ritorno del fu divo de la Mummia è una delle storie di riscatto più potenti e toccanti del XXI secolo 

A24 crea un’offerta che possa includere più generazioni in modo intelligente e più gusti in contemporanea. Lo dimostra con The Last Black Man in San Francisco, C’Mon C’Mon, e poi il bellissimo the Lighthouse. L’autorialità ha trovato una nuova abitazione? Si, ed è libera da dirigenti caotici o da ripensamenti dell’ultimo minuto. Hodges nel 2018 ha lasciato la A24 ma questo non ha fermato una corsa inarrestabile. Solo Macbeth dei loro film fallisce, Waves di Shults e Men di Garland sono apprezzatissimi. Poi ecco arrivare quest’anno la rinascita di Brendan Fraser a Venezia e la follia dei Daniels che ieri sera si prendono in tutto 8 Oscar, i più importanti. Serata storica. Ma ora che succederà? Ora aspettiamo Beau ha paura con Joaquin Phoenix, la nuova stagione di the Idol su HBO e tutto quello che la A24 vorrà darci mentre ingrandisce un impero che forse (forse) potrebbe anche salvare i cinema ormai diventati colossi d’argilla. 

Perché la A24 si muove ovunque, ha colmato quel vuoto che la commercializzazione estrema delle major, schiave delle saghe, dei cinecomic e di vecchi universi riciclati all’infinito ha lasciato: quello dell’innovazione e della novità. Il tutto vincendo anche la gara contro i costi troppo elevati, il gigantismo obbligato della produzione cinematografica. Con Avatar 2 James Cameron ha vinto la sua scommessa, ma ormai è chiaro che non si può andare in sala sempre con almeno 200 milioni di investimento da raddoppiare. EEAAO è costato 25 milioni, ne ha incassati 110. Perché in fondo quanti soldi servono per fare qualcosa di buono? Tutti i soldi del mondo non valgono una buona idea, una buona sceneggiatura, registi con le idee chiare e liberi di esprimerle e attori a cui a cui viene data un’opportunità di sperimentare. Contemporaneamente si valorizzano nuovi volti e nuovi registi per un nuovo pubblico. La A24 fa cinema, quel qualcosa che da un po’ era sparito dai nostri radar. 



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di Giulio Zoppello www.wired.it 2023-03-13 12:00:00 ,

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