Tuttavia, come ricorda Statewatch, nel 2016 alcuni ricercatori dell’Università di Georgetown, negli Stati Uniti, hanno definito questo approccio “una raccolta perpetua”, a valle di uno studio che dimostrava come oltre oceano un cittadino adulto su due fosse finito in sistemi di riconoscimento facciale della polizia, perché questi si basavano su patenti di guida o altri documenti di identità.
E in Europa la situazione non è tanto migliore. All’inizio di gennaio il Garante europeo per la protezione dei dati (Edps) ha ordinato a Europol di cancellare le informazioni di persone che non hanno nessun legame con indagini o attività criminali. Una montagna di dati, che l’agenzia accumulava senza rispettare, a detta del Garante, i limiti di conservazione e i tempi di cancellazione.
Il riconoscimento facciale
Poi c’è la questione del riconoscimento facciale. Come scrive Wired UK Prüm II “permette di utilizzare il riconoscimento facciale in modo retroattivo. Questo significa che le forze di polizia potranno confrontare immagini statiche provenienti da telecamere a circuito chiuso, foto ottenute dai social media o dal telefono deli morti di reati con le foto segnaletiche presenti nel database della polizia”. “Se attuate – prosegue l’indagine -, le proposte europee permetterebbero a uno stato membro di confrontare una foto con i database di altri paesi per verificare la presenza di corrispondenze, creando così uno dei più grandi sistemi di riconoscimento facciale esistenti al mondo”.
Da documenti dell’aprile 2021 emerge “l’enorme quantitativo di foto di volti a disposizione dei paesi – scrive Wired UK -. L’Ungheria ha trenta milioni di foto, l’Italia diciassette milioni, la Francia sei milioni e la Germania 5,5 milioni, riportano i documenti. Le immagini possono riguardare sospettati, persone condannate per reati, richiedenti asilo e “cadaveri non identificati”, e provengono da più fonti per ogni paese“. La nuova proposta del Consiglio menziona il fatto che ogni Stato può scegliere di “confermare manualmente l’incrocio”, una formula che per Statewatch fa supporre che la prassi desiderata sia il match automatico affidato agli algoritmi.
Prüm II ha l’obiettivo di aggiornare la convenzione firmata nel 2005 nella città tedesca di Prüm per autorizzare lo scambio di una serie di dati, come dna, targhe e impronte digitali, tra le autorità dei Paesi coinvolti (all’inizio Belgio, Germania, Spagna, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Austria), ma l’applicazione, come scrive Wired UK, è stata “disomogenea”. Chris Jones, direttore esecutivo di Statewatch, ricorda a Wired Italia che già dieci anni fa aveva messo in fila tutti i problemi dell’applicazione concreta dell’accordo di Prüm per ragioni di costi, complessità amministrative e problemi tecnologici.
Ricerche di massa sul dna
Il dna, su cui il Consiglio spinge, è uno di questi casi. L’Italia, per esempio, è ancora indietro. Stando a una revisione dello stato di avanzamento redatta dal Consiglio, Roma “non è ancora operativa sul fronte dello scambio dei dati del dna – dice Jones – e sta attualmente testando lo scambio di impronte digitali con la Germania, ma non è ancora parte del network. E lo stesso vale per targhe e dati automobilistici“. Alcuni dei problemi pratici potrebbero essere risolti proprio dal nuovo piano della Commissione, che prevede l’uso di un “router centrale” attraverso cui scambiare le informazioni. Un sistema simile è già stato messo all’opera con il gateaway per lo scambio dei dati sul contact tracing o quello del green pass. Nel caso del dna, questo permetterebbe a tutti gli Stati di interrogare contemporaneamente le banche dati degli altri paesi del blocco, con forme di ricerca massiva e automatizzata, osserva Statewatch.
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di Luca Zorloni www.wired.it 2022-04-21 05:00:00 ,