Incredibile oggi pensare come la Cosa di John Carpenter sia stato uno dei più dolorosi flop degli anni ‘80, così come lo fu Blade Runner di Ridley Scott, uscito anch’esso quel 25 giugno 1982. Entrambi troppo autoriali, troppo complessi e troppo cupi per piacere al pubblico generalista, non potevano reggere il confronto con il ben più accessibile E.T. – l’extraterrestre di Steven Spielberg, fautore di una visione molto più emotiva, ottimista e fanciullesca della fantascienza. Erano passati solo tre anni dall’Alien di Ridley Scott, eppure parve che l’idea di avere mostri in grado di turbare la nostra i nostri sogni non piacesse più. Ma se la Cosa a quarant’anni esatti dalla sua uscita è un mito cinematografico, è proprio per la sua potenza disturbante ed evocativa.
Un remake sperimentale e rischioso
Per la Universal Pictures i soli 20 milioni incassati in America furono uno smacco non da nulla, soprattutto per il fatto che a Carpenter (reduce dal grande successo de 1997: Fuga da New York) erano stato dato un budget di 15 milioni di dollari, una cifra davvero notevole per l’epoca.
L’obiettivo era realizzare il remake di uno dei migliori film di fantascienza della Hollywood che fu: La Cosa da un altro Mondo di Howard Hawks del 1951, tratto dal romanzo di John W. Campbell, a tutti gli effetti il progenitore del filone sci-fi body horror. Con il tempo quel sottogenere era diventato uno dei più interessanti all’interno dell’universo fantascientifico, sia per la capacità di stupire lo spettatore, che soprattutto di creare un ampio insieme di possibilità espressive e semantiche.
Carpenter, grande fan del film di Hawks, decise fin da subito che bisognava tornare ad essere fedeli all’originale letterario, e di conseguenza ambientò quella terrificante lotta contro uno spietato visitatore alieno nel misterioso polo sud, invece che nel più civilizzato e noto polo nord. Ma soprattutto volle fare di la Cosa, un claustrofobico inferno in cui a dominare fosse la l’incertezza, il concetto di mutazione, una dimensione fatta di sospetto, paranoia e orrore.
Il regista capì immediatamente che bisognava spingere sull’acceleratore, e decise che quell’alieno necessitava di un comparto tecnico all’altezza per risultare credibile.
Il giovane ma talentuosissimo Rob Bottin, assieme a Roy Arbogast e Stan Winston, fu capace di creare un qualcosa di assolutamente rivoluzionario, unendo l’animazione passo ad uno con l’utilizzo di modelli innovativi e di animatronic.
Il risultato finale ancora oggi è indicato come un miracolo dell’inventiva, che seppe donarci uno dei villain più terrificanti della storia del cinema: una creatura aliena dalla fisicità e personalità indefinite eppure inquietanti. La Cosa era a tutti gli effetti la negazione stessa della logica anatomica, della razionalità con cui l’uomo si approccia da sempre alla natura per dominarla.
Quell’essere si agita ancora oggi come materializzazione dei nostri incubi antropomorfi, della devianza fisica che ci suscita orrore e repulsione. Era tutto e nulla assieme, non aveva un volto o consistenza definita, convogliava in sé elementi di animali e uomini, demoni biblici e miti ancestrali, incubi ricolmi di una repulsione per la carne estrema.
Persi dentro la follia più estrema
Il film del Hawks era uscito in pieno maccartismo, quando negli Stati Uniti si viveva nel terrore della Guerra Fredda e la commissione d’inchiesta voluta dallo xenofobo senatore Joseph McCarthy terrorizzava chiunque, agitando lo spettro di una infiltrazione comunista su larga scala.
Quell’alieno umanoide e spietato, a molti sembrò la perfetta incarnazione della falce e del martello sovietici che assediavano gli USA. Tuttavia, ad un’analisi più accurata, molti scorsero anche una critica al fanatismo che animava la società americana di quel tempo, decisa a distruggere ogni diversità e ogni voce discordante rispetto alla norma.
Carpenter invece scelse di parlare della reclusione, del sospetto, della paura, di indagare la psiche umana e soprattutto di parlarci della fine della civiltà, di quanto l’uomo sovente sopravvaluti se stesso e la propria capacità di combattere l’irrazionale.
L’alieno che si risvegliava in quella base non era meno spietato, astuto e letale di quello del 1951, tuttavia aveva la prerogativa di riuscire a confondersi all’interno di quel gruppo di uomini isolati da tutti e da tutto, in un inferno ha fatto di neve e gelo. In breve Carpenter seppe mettere al centro il concetto di paura dell’altro, connesso alla certezza che quell’essere fosse capace di fingersi uno di loro, eliminandoli uno alla volta.
Grazie al grande talento registico di Carpenter e ad una magistrale fotografia di Dean Cundey, la Cosa è ancora oggi a 40 anni di distanza, uno dei film di fantascienza più disturbanti che si ricordano. Lo è in virtù di una potenza emotiva unica, di un pessimismo verso la società umana che avrebbe fatto invidia ad Hobbes. A dispetto di una sceneggiatura votata all’azione, aveva anche merito di rendere ognuno dei personaggi partecipe di un dramma comune ed universale. Davanti al pubblico infatti si materializzò un totale azzeramento dei concetti di progresso, eroismo e razionalità con cui l’America degli anni ‘80 amava rivendicare la propria posizione di paese simbolo dei valori occidentali.
Un’analisi sulla fine della società umana
Kurt Russell, nei panni del protagonista, appariva vulnerabile eppure capace di dominare i propri istinti, all’interno di un iter diegetico che aveva ben poco da invidiare ad un giallo di Agatha Christie. Ma è l’uomo, questo essere fatto di carne, sangue ed emozioni, il vero e grande protagonista di la Cosa, lo è in virtù della sua capacità di mascherare la propria natura animalesca grazie a quella patina che definiamo civiltà. Eppure nel momento in cui dominano l’ignoto e il terrore, ecco allora che ci ritroviamo ad abbracciare l’anarchia più totale, la legge del più forte e l’egoismo più estremo. Il male è dentro l’uomo, si muove attraverso il suo corpo, passa da un individuo all’altro come una malattia, come un virus, simboleggiato da quell’essere alieno, che neppure cerca una parvenza di dialogo con quelle forme di vita che l’hanno risvegliato dal suo sonno gelido.
Quel mostro altro non era che la materializzazione del male che l’uomo è capace di fare a se stesso e ai suoi simili dall’alba dei tempi. Non un caso che un ruolo assolutamente centrale lo abbiano poi anche i cani, esseri nei quali l’uomo si è sempre rivisto proprio per il loro rappresentare il concetto di gruppo e di branco. Sono proprio loro i primi ad essere eliminati da la Cosa, è la maschera dietro cui i nasconde tra gli uomini. Tra quei quei ghiacci primordiali, dove spesso esploratori o avventurieri avevano usato ogni mezzo per sopravvivere, andava in scena l’anarchia più completa. Carpenter noncurante del flop al botteghino, avrebbe fatto de la Cosa il primo tassello della sua trilogia dell’Apocalisse, continuata con Il Seme della Follia e il Signore del Male.
Per certi versi questo è stato però il suo film più coraggioso, il più visionario e inquietante, anche più di cult come Essi Vivono o Halloween; solo Assault on Precint 13 gli è superiore per genuinità nella sua filmografia, avendo tra l’altro molte cose in comune dal punto di vista tematico e diegetico.
A quarant’anni di distanza, ammirando il disastro creato da un’altra creatura sconosciuta come il Covid 19, bisogna ammettere che quel dramma ambientato tra i ghiacci dell’Antartide, non è poi stato così distante dalla realtà, nel dirci che di fronte ad un pericolo sconosciuto, la cosiddetta “società civile” è pronta a disgregarsi in un istante.
Leggi tutto su www.wired.it
di Giulio Zoppello www.wired.it 2022-06-25 17:00:00 ,